La nazionale Celeste in quegli anni dominava: campioni olimpici a Parigi nel 1924 e ad Amsterdam nel 1928. L’Uruguay, come tanti altri paesi, era un paese in una crisi dovuta al crollo della borsa di New York dell’Ottobre 1929 ma il “Campeonato Mundial de Futbol” unì tutto il popolo uruguagio nella speranza di dare al mondo un’immagine bella e vincente.
C’erano solo due stadi all’epoca, entrambi a Montevideo: quello del Nacional e quello del Penarol, le due squadre che ancor oggi dominano il calcio uruguaiano. Erano stadi piccoli e così nacque l’idea di un nuovo stadio: in cinque mesi venne costruito il mitico ‘Estadio Centenario‘.
A quel primo mitico mondiale parteciparono 13 nazioni: Uruguay, Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay, Perù per il Sudamerica, Stati Uniti e Messico per il Nordamerica, Francia, Jugoslavia, Romania e Belgio per l’Europa. La partecipazione europea fu limitata perché i costi del viaggio in nave erano enormi. Lo stesso Jules Rimet provò a convincere le federazioni europee ma alla fine solo quattro accettarono. Due grandi navi salparono dai porti francesi: la Conte Verde con a bordo Romania, Francia, Belgio e soprattutto Jules Rimet con la coppa del mondo e la Florida con a bordo la Jugoslavia.
Un viaggio sicuramente epico, il viaggio dei pionieri di una manifestazione che diventerà con il tempo il più grande fenomeno mediatico dello sport
E così il 13 luglio 1930 alle ore 14:30 allo stadio Pocitos scendono in campo Francia e Messico e allo stadio Gran Parque Central Stati Uniti e Belgio.
Il primo gol, in onore di Henry Delaunay e di Jules Rimet, non poteva non farlo un francese e così al minuto 19 Lucien Lauren con un tiro al volo scandisce il primo rintocco della storia mondiale.
Alle semifinale ci arrivano senza grossi problemi Uruguay, Argentina, Stati Uniti e Jugoslavia. Esito delle semifinali? Stesso punteggio: Argentina-Stati Uniti 6-1 e Uruguay-Jugoslavia 6-1.
La finale è la più attesa e la più bella: il derby del Rio de La Plata tra Uruguay e Argentina, la rivincita della finale olimpica di Amsterdam. Ventimila tifosi attraversarono il Rio de la Plata, la polizia civil perquisì di tutto e l’arbitro Langenus accettò di arbitrare la finale solo dopo aver stipulato una congrua polizza sulla vita. Qualche nome dei 22 in campo, quelli che più di altri hanno scritto pagine importanti di questo meraviglioso sport: capitan Nasazzi, Andrade, Dorado, el Monco Castro e Cea per la “Celeste”, Monti, Suarez, Peucelle, Stabile e Ferreira per l’ “Albiceleste”.
Dopo 12 minuti segna Dorado per l’Uruguay facendo scatenare la famosa “garra” Argentina. Al minuto 20 pareggia Peucelle e al minuto 37 el “Filtrador” Stabile fa 2-1 per l’Argentina per il delirio del popolo albiceleste. Ma il secondo tempo è tutto uruguagio: al minuto 57 pareggia il “peon” Cea, al minuto 68 segna Iriarte e infine al minuto 80 la chiude in contropiede el Monco Castro.
Finisce 4-2: l’Uruguay è campione del mondo e capitan Nasazzi alza al cielo per la prima volta la Coppa Rimet davanti ai centomila dell’Estadio Centenario.
La sua, purtroppo, è una storia maledetta e forse per questo diventata leggenda.
Andrade nasce a Montevideo, nel Barrio Palermo, quartiere con molti afro-uruguaiani. È il calcio a salvarlo dalla miseria. Gioca nel Bella Vista Montevideo ma è con la nazionale che dimostra al mondo intero la sua immensa magia. Alle Olimpiadi del 1924, l’Uruguay domina nonostante davanti agli osservatori della Jugoslavia, prima avversaria, fingano di non saper giocare tanto da fare compassione agli slavi…finisce 7-0 (per l’Uruguay ovviamente).
Andrade diventa la stella di Parigi, si innamora della vita notturna della capitale e incontra in un night club Josephine Baker, il primo topless della storia. Una notte durante i giochi Andrade sparisce e verrà ritrovato in un appartamento di lusso con tante giovani ragazze. E con la ricchezza i viaggi a Parigi continuano: Andrade è un divo bohémien.
Nel 1928 con la nazionale vince ad Amsterdam la seconda Olimpiade e nello stesso anno in Danimarca ha un infortunio a un occhio in seguito a uno scontro con un palo, ma nulla di grave (sembra).
Andrade partecipa da assoluto protagonista al trionfo del 1930 in cui l’Uruguay si laurea campione del mondo.
Dopo qualche anno smette di giocare e inizia la vita maledetta: le notti di Parigi sempre più frequenti, l’alcol e quell’occhio che peggiora ogni giorno. Vive un ultimo momento di gloria come spettatore alla finale del 1950 Brasile-Uruguay al Maracana (ma questa è un’altra storia): in campo c’è suo nipote nel giorno forse più triste della storia del calcio brasiliano.
Di Andrade si persero le tracce fino a che nel 1956 venne riconosciuto in un tugurio, malato, alcolizzato e cieco. Muore nel 1957 dimenticato da tutti e assistito solo dalla sorella.
L’epitaffio di Eduardo Galeano scrittore e saggista uruguaiano recita così:
Fu nero, sudamericano e povero il primo idolo internazionale del calcio.
Edoardo Galeano