E’ il 1960, l’Italia sta vivendo un periodo di boom economico: sono gli anni della “Dolce vita” raccontati da Federico Fellini nel celeberrimo film. Sono gli anni della consacrazione dell’Italia, un’Italia bellissima, ammirata e felice. E il 1960 è l’anno dei giochi della XVII Olimpiade che si svolgono a Roma, la Città Eterna, splendidamente raccontata qualche anno prima da Gregory Peck e Audrey Hepburn in “Vacanze Romane”.
Imprese sportive vengono raccontate e celebrate all’ombra di questa città millenaria in luoghi di gara, quali lo Stadio dei Marmi o le Terme di Caracalla, che hanno reso forse quest’edizione la più affascinante dei Giochi Olimpici.
Il 10 Settembre è il giorno della Maratona la gara delle gare, la gara che conclude i giochi Olimpici e che ci accompagna dal mito dell’Antica Grecia al mito dell’Antica Roma.
Si parte dal Colle Palatino e arriva all’Arco di Costantino in un percorso che attraversa la storia. I fori Imperiali, il Colosseo, il Cupolone, l’Appia Antica, il Circo Massimo, le Terme di Caracalla: un percorso di una suggestione unica, probabilmente mai più ripetibile.
Abebe Bikila ha 27 anni, viene dagli altopiani Etiopi ed è guardia del corpo dell’imperatore Hailè Selassiè. Bikila è per la prima volta fuori dai confini dell’Etiopia ed è alla sua terza maratona nella sua carriera.
Nel tardo pomeriggio di quel 10 Settembre ha inizio così una delle gare più epiche che lo sport ricordi in un contesto storico unico, sotto un meraviglioso cielo romano illuminato al crepuscolo da migliaia di fiaccole.
Il favorito è il marocchino Rahdi che deve partire con il pettorale 26, ma per errore parte con il pettorale 185. Bikila, con la canottiera verde, lo cerca per seguirlo, ma non lo trova e solo al km 20, quando rimangono in due, capisce che Rahdi è lì con lui. Rahdi con le scarpe e Abebe Bikila con i suoi piedi nudi attraversano le strade impregnate di storia, percorrono l’Appia Antica e arrivano assieme al km 40.
E qui, in piazzale Numa Pompilio, l’Etiope scalzo attacca e con la sua splendida eleganza di corsa taglia per primo il traguardo sotto l’arco di Costantino per il primo oro africano ai Giochi Olimpici. E quell’oro storico lo vince in Italia, quel paese che 24 anni prima aveva colonizzato la sua Etiopia, una storia nella storia.
Abebe Bikila vincerà poi anche l’Olimpiade di Tokyo nel 1964 (con le scarpe) e sarà costretto a ritirarsi per infortunio a Messico 1968. Il destino purtroppo lo colpirà nel 1969: un incidente lo portò alla paralisi delle gambe, quelle gambe e quei piedi che lo avevano reso leggenda. Ma Abebe Bikila non si rassegna e gareggia a manifestazioni paralimpiche come arciere fino al 1973 quando un’emorragia improvvisa lo porta via per sempre.
Abebe Bikila è il simbolo di un paese e un simbolo di libertà per quella terra lontana, schiava del colonialismo europeo. Ed è il simbolo della sfida di quel giovane africano che a piedi nudi ha sfidato il mondo e ha coronato il suo sogno di sportivo.
“Volevo che il mondo sapesse che il mio paese, l’Etiopia, ha sempre vinto con determinazione ed eroismo”
Abebe Bikila
È la notte di un’impresa epica di un grandissimo uomo, è la notte di una leggendaria pagina di sport, è la notte romana di Abebe Bikila
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