C’è una storia che unisce il destino di un fruttivendolo valtellinese ad alcuni inglesi ospiti a Saint Moritz nell’800 e alla storia olimpica azzurra:
Siamo circa a metà dell’Ottocento quando alcuni turisti inglesi annoiati dalla monotonia di Saint Moritz decidono di costruire slitte e buttarsi tra le stradine dei Grigioni. Vista la follia di questi inglesi, a Saint Moritz decidono di costruire una pista che parte da una chiesa in rovina e scende per 1200 metri circa lungo il letto di un fiume. La pista viene chiamata Cresta Run. Dimenticavamo una cosa, agli inglesi piaceva gettarsi con la faccia in avanti, con un brivido maggiore.
Sono invece gli anni 30 in Italia e un giovane valtellinese ogni giorno con il suo carretto aiuta il padre a vendere la frutta tra le case e i mercati; capitava spesso che con il padre salisse su un cavallo, attraversasse il passo Bernina e scendesse a Saint Moritz dove le vendite erano a loro dire migliori. E il giovane a 15 anni si trasferì con la famiglia in Svizzera. Il giovane si chiama Nino Bibbia.
Il dopoguerra è un periodo duro e drammatico per l’Italia e il conte Bonacossa sta cercando di costruire una squadra competitiva per le Olimpiadi di Saint Moritz del 1948, il simbolo di uno sport che rinasce dopo la follia della guerra mondiale. Il giovane Bibbia ha già effettuato sport invernali con discreti risultati e il conte si rivolge a lui per quello sport, ai più sconosciuto, in cui occorre buttarsi a testa in giù.
ed è la storia di un cliente che durante il Natale del 1947, in cambio di alcune bottiglie di Chianti, regala a Nino uno skeleton. E Nino inizia a buttarsi ed ad allenarsi, a testa in giù. Non sappiamo il confine tra storia e leggenda ma sappiamo che Nino Bibbia prese parte ai giochi del 1948, a Saint Moritz sia nel bob, sia nello skeleton.
Se nel bob chiude ottavo, i giorni 3 e 4 febbraio sono i giorni dello skeleton, gara divisa in sei discese. Le prime due partono dalla partenza più bassa e Nino chiude al secondo posto; le ultime quattro invece partono dalla partenza più alta, lì dove c’è la chiesa diroccata scelta dagli inglesi come inizio dei loro divertimenti a faccia in giù. Da lì Nino non è mai sceso. Ma il campione valtellinese in quei 1200 metri di pura follia si sente a suo agio, vince tutte le rimanenti discese e vince la medaglia d’oro davanti a Heaton, argento vent’anni prima e Crammond. Medaglia d’oro nello skeleton, medaglia d’oro nella mitica Cresta Run. Non ci saranno più gare olimpiche di skeleton fino al 2002 rendendo ancora più epica e infinita l’impresa di Nino.
Nino Bibbia invece continuerà a fare skeleton a Saint Moritz, vincerà tre mondiali e quasi duecento competizioni nella Cresta Run gareggiando altri trent’anni; vinse l’ultima Cresta Run nel 1972. C’è un’altra leggenda, che crediamo essere molto vera, attorno al mito di Nino Bibbia: ogni qualvolta uno batteva il suo record in quella pista magica, lui tornava ad allenarsi, si buttava a testa in giù come un pazzo e in breve tempo riconquistava il suo record, perché la Cresta Run è sua.
Nino continuerà a fare il fruttivendolo, ma sarà un fruttivendolo speciale, perché Nino Bibbia sarà per sempre la prima medaglia d’oro italiana ai giochi Olimpici Invernali. Morirà a Saint Moritz nel 2013, a 91 anni, ma il suo mito quello no, quello non morirà mai.
Una pagina di sport che profuma di leggenda, una pagina che racconta un atleta dalle doti eccezionali che rimarrà per sempre nella storia sportiva Italiana.
Ph copertina: sport.sky.it