Marinella Falca, ginnasta che ha vinto la medaglia d’argento ad Atene 2004 con la nazionale italiana di ginnastica ritmica.
Il mio primo sport è stato il pattinaggio a rotelle che a Molfetta (prov. Bari) aveva una società forte. Ero forte e veloce e l’allenatore mi faceva gareggiare con i maschietti. Poi la società è fallita e con Teresa, la mia migliore amica, abbiamo iniziato la ritmica: ci piaceva il fatto che eravamo tutte bambine vestite uguali, ci divertivamo. È iniziata così per gioco. A 10 anni poi ho capito che volevo fare ginnastica ritmica ed è iniziata la mia carriera.
Ero tesserata con l’ Adriatica Monopoli e in prestito alla Flaminio Roma per poter gareggiare nel campionato di Serie A ed è arrivata la convocazione. Mi sono trasferita a Desio, in Lombardia, adolescente e lontana da casa. Ci allenavamo 9 ore al giorno, 11 mesi all’anno. La sera andavamo a scuola. Eravamo compagne di squadra, ma soprattutto amiche, vivevamo assieme, facevamo tutto assieme, eravamo in simbiosi. Un gruppo unico.
Era faticoso, ma avevamo un obiettivo, unico e comune, eravamo inquadrate per raggiungere il nostro sogno .
Se avevi un momento difficile, non mollavi, per te e per la tua squadra. Stavamo assieme 11 mesi all’anno, il dodicesimo andavamo in vacanza assieme.
Arrivare a gareggiare in un’ Olimpiade è l’apice del successo. Vieni ripagato di tutti i sacrifici.
Ti senti una ragazza fortunata, perché sei lì con i più forti atleti del mondo, e tu sei una di loro, sei uguale a loro. È difficile spiegare a parole la magia del villaggio olimpico. L’aria che si respira è la più bella che abbia mai vissuto: è una festa, è lo sport che unisce persone di tutto il mondo.
L’abbiamo preparato per due anni, nove ore al giorno. Abbiamo fatto un’esibizione fantastica con Elisa Santoni, Elisa Blanchi, Fabrizia D’Ottavio, Daniela Masseroni e Laura Vernizzi e poi ci siamo sedute ad aspettare le altre squadre. Quando abbiamo capito che avevamo la medaglia ci siamo abbracciate: è stata un’esplosione di gioia. È un emozione che non puoi descrivere perché viene dopo la sofferenza, il sacrificio, la costanza, il non mollare mai, l’aver perso l’adolescenza.
Io sono una che parla tanto: quando eravamo in attesa di ricevere la medaglia nel tunnel con le mie amiche ero silenziosa, senza parole, non ci credevo. Avevo raggiunto il mio sogno. Poi nel podio sono scoppiata a piangere. In fondo eravamo adolescenti, ragazzine e vivevamo in modo unico le nostre emozioni.
Si, loro, sono le mie amiche e lo saranno sempre.
Si, facevano sacrifici, ma alle Olimpiadi non volevano mancare. Sono fortunata ad avere i genitori che ho e li ringrazio per tutto quello che mi hanno dato.
A casa in Puglia, con tutte le altre
Avevo deciso che Pechino sarebbe stata l’ultima gara della mia carriera già ai mondiali dell’anno precedente a Patrasso. Ci eravamo preparate benissimo, eravamo più mature di quattro anni prima. Per tutto l’anno eravamo arrivate sul podio. Con la musica del “Gladiatore” con cerchi e clavette abbiamo fatto l’esibizione della vita. La medaglia era nostra.
Siamo state vittime di un’ingiustizia. Non lo meritavamo. I nostri sguardi all’uscita del punteggio sono eloquenti. Eravamo amareggiate e deluse. Ci rimasero gli applausi di tutto il mondo e il calore dei nostri fans, un calore che ci fece immenso piacere e che non dimenticherò mai.
Alle 19 ho iniziato ad avere dolori fortissimi e sono andata in ospedale: avevo i calcoli renali. A mezzanotte ho dovuto assumere dei farmaci. Con l’uso di quei farmaci avevo bisogno dell’autorizzazione del CIO per gareggiare. Ho iniziato a star meglio e a pensare che se stavo così, io quella gara la volevo fare, quel giorno avrei gareggiato anche senza un piede!
Alle 8 le mie compagne erano in palestra per l’allenamento, io ero ancora in ospedale e la gara era alle 11. Ho avuto l’autorizzazione dal CIO pochi minuti prima della competizione. Le mie compagne mi chiedevano come stavo, io rassicuravo tutte per non aumentare la tensione che prima di una finale olimpica è altissima.
Con “Il Gladiatore” abbiamo fatto la gara perfetta, la gara della vita, tutto il palazzetto era in piedi ad applaudirci.
Ma siamo arrivate quarte con Elisa Santoni, Elisa Blanchi, Fabrizia D’Ottavio, Daniela Masseroni e Anzhelika Savrayuk.
E per quanto riguarda i calcoli, da quel giorno bevo due litri di acqua ogni giorno!
Un esercizio di ritmica è il racconto di una storia, che inizia e finisce. C’è l’allenatore e il coreografo e c’è un disegno mentale che parte dalla testa dell’allenatore e coinvolge tutta la squadra. Devi capire la musica che l’atleta può esprimere. Poi ovviamente più le ginnaste sono brave, più le qualità tecniche sono elevate, più sono le opzioni e le musiche che puoi scegliere.
Dopo la grande delusione stavo ritornando alla mia decisione sul ritiro, mi era venuta voglia di tornare a competere per prendermi quella medaglia che ci era stata tolta. Poi però hanno vinto la mente e la razionalità e ho deciso di ritirarmi da quello sport che mi ha dato tutto. Per un anno ho lavorato con Emanuela Maccarani come assistente tecnica. Facendo parte dell’Aeronautica poi ho avuto l’opportunità di avere un lavoro e di restare legata all’ambito sportivo.
Sono scaramantica e non faccio pronostici su cosa sarà il futuro di questa nazionale, ma sono fortissime. Mi ricordano … noi, le farfalle del 2004. Si stanno evolvendo e stanno gareggiando a un livello altissimo.
Sono appassionata di sport e ammiro tanti atleti. Se devo sceglierne uno dico Alex Zanardi: ho avuto l’onore di incontrarlo ai cent’anni del CONI. Una grinta unica e incredibile. È impensabile ciò che ha fatto dopo quello che gli è successo.
No, sono sempre la solita Marinella con gli amici di sempre e i divertimenti di sempre. Non dico alla gente chi sono, se me lo chiedono ovviamente rispondo e sono onorata di raccontare la storia.
Si, ringrazio l’Aeronautica Militare per l’opportunità che mi sta dando. La creazione del centro sportivo di ginnastica ritmica ci permette di continuare a esercitare la nostra passione in diversi contesti: a scuola, in alcune esibizioni, facendo beneficienza e aiutando la crescita del nostro sport.
Una ragazza semplice, con gli amici di sempre. Nel tempo libero assieme alle mie ex compagne alleno le ragazzine della scuola di Bracciano, voglio trasmettere loro la passione per lo sport e il mio amore per la ginnastica ritmica.
Per la famiglia poi è un momento difficile perché la mamma ha una malattia e voglio dedicare tanto tempo a lei.
Lei per me è una grande, una guerriera coraggiosa e un esempio di vita. È un essere speciale ed io avrò sempre cura di lei.
I miei sogni? Non ho sogni particolari. Desidero tutto il bene possibile per la mia famiglia, sogno la salute e lo stare bene per mia mamma e poi voglio continuare a trasmettere la mia passione alle ragazzine che alleno. Poi ovviamente anch’io sogno una famiglia bella e felice.
MARINELLA FALCA, argento olimpico di Atene 2004, ha raccontato la sua storia.
Una storia che racconta l’essenza dello sport con i sacrifici, i successi, le delusioni, le emozioni. Marinella è una eccezionale campionessa, è una di quella squadra che in un pomeriggio di agosto del 2004 ha dato vita alla leggenda delle “Farfalle della Ritmica”, ma è anche una ragazza dal sorriso solare, dai valori veri e dal grande amore verso la famiglia. Marinella Falca, FARFALLA OLIMPICA
Ph di copertina: it.wikipedia.org