Aldo Serena, attaccante entrato nella storia del calcio italiano per aver vinto lo scudetto con tre diverse formazioni ci racconta la sua carriera, una carriera svolta durante gli anni d’oro del nostro calcio, quegli anni in cui tutti i campioni erano in Italia e deliziavano il pubblico. Gli esordi, l’Inter, il Torino, l’Intercontinentale con la Juve di Platini e Scirea, l’Inter dei Record, Italia 90 dal sogno al rigore con l’Argentina.
Storie e aneddoti di un campione in campo e di un campione fuori, uomo dai valori eccezionali, molto legato alla famiglia. Aldo Serena, campione che ha scritto pagine d’oro del calcio italiano.
Avevo 11 anni, il mattino andavo a scuola, il pomeriggio aiutavo mio padre nella fabbrica. Lui non poteva portarmi allo stadio per gli allenamenti e così mi dovevo arrangiare. Erano 2 Km, ma avevo già la passione che mi spingeva. E così ho iniziato al “Torneo Biancoceleste”, un torneo per ragazzini che si gioca a Montebelluna, la mia città. Io ho giocato con la Juventus e l’Inter, un segno del destino.
Sì, una bella stagione: 9 gol. E giocavo centrocampista. Poi contro il Venezia gli attaccanti erano infortunati e l’allenatore mi ha messo centravanti. Ho fatto due gol e da quel momento ho sempre giocato attaccante.
Io ho sempre tifato Inter, anche se ero un tifoso tranquillo e moderato.
La chiamata dell’Inter è stata un sogno.
Il mister era Bersellini che tanto mi ha insegnato in quell’anno. Avevo fatto il mio esordio in Europa in una partita di Coppa delle Coppe a La Valletta: dieci minuti in cui mi tremavano le gambe. In campionato poi avevamo perso il derby e in quella partita si infortunarono Altobelli e Muraro. Era domenica e mi chiamarono per dirmi di tornare subito a Milano perché la domenica successiva avrei giocato titolare. E così fu. E in una bellissima azione dopo un cross di Fedele ho anticipato Manfredonia e ho fatto gol. E pensare che Fedele era uno dei miei migliori amici in squadra.
Bari è stata una bellissima esperienza, come giocatore e come persona. Sono andato come ragazzo ingenuo, me ne sono tornato come uomo. A Bari ho ancora amici, si respira un clima cordiale. Ed è stato un bel campionato: metà classifica e una decina di gol. Inoltre ci arrivavo dopo una stagione non troppo positiva a Como per cui per me era importante dimostrare il mio valore. Fosse andata male a Bari probabilmente me ne sarei tornato in provincia.
Eravamo in una tournée in Sudamerica quando vendettero me, Canuti e Pasinato al Milan in uno scambio con Collovati. Io ho accettato subito, era una sfida bella da cogliere. In più c’era Castagner, un allenatore che credeva molto in me. Giocare a San Siro era bellissimo: ogni giornata lo stadio era pieno, 50-60 mila spettatori anche in serie B. Abbiamo vinto il campionato, abbiamo giocato bene e ci siamo divertiti. E a fine anno quando ormai si era deciso che sarei tornato all’Inter abbiamo giocato il Mundialito: e nel derby contro i miei futuri compagni ho fatto due gol e ho quasi litigato con Bini. Così mi sono ripresentato all’Inter.
Eravamo al campus dell’U.C.L.E nel villaggio olimpico e vivevamo in comunità con gli atleti di qualsiasi sport e di ogni provenienza. Io avevo fatto amicizia con alcuni cestisti spagnoli, Martin e Corbalan. L’atmosfera era da college con una disponibilità enorme da parte degli organizzatori nel metterci nelle condizioni migliori per far bene. Poi ci siamo trasferiti anche a Stanfort vicino San Francisco dove, ahimè, abbiamo perso la semifinale contro il Brasile. E’ stata comunque un’esperienza unica e molto coinvolgente nonostante la medaglia di cartone, quella del quarto posto.
Quel campionato è stato un grande rammarico, perchè quello scudetto lo potevamo vincere. Col Verona, che quel campionato lo ha vinto, abbiamo fatto due grandi partite. In casa abbiamo dominato e preso due gol in contropiede. A Verona abbiamo vinto 2-1 con un mio gol in rovesciata. Quel campionato l’abbiamo perso perdendo partite immeritate con Cremonese, Roma e Napoli. La squadra era fortissima con Junior e Dossena.
Sì, quel derby per i granata è indimenticabile. All’ultimo minuto calcio d’angolo di Leo Junior, io mi libero di Brio e segno il gol del 2-1. Una gran festa per il popolo granata che ogni domenica riempiva lo stadio di passione.
Gigi è stato per me, assieme a Trapattoni, uno dei due allenatori che mi hanno reso grande. Gigi mi ricordava nei modi mio padre. Molto deciso, era un comandante. Se le cose andavano male non gli potevi parlare, ma in certi momenti era unico. Di lui ho un ricordo bellissimo.
Quando si cambia così spesso ci vuole tempo per adattarsi e non è sempre facile. È importante conoscere l’ambiente dove sei e anche sapere come darsi ai compagni. Io di natura sono altruista per cui dare per me è importante. Questi cambi sono molto formativi perché ti fanno crescere come persona. Ogni anno si costruisce: si costruisce in campo e si costruiscono relazioni fuori.
Ero al concerto di Bruce Springsteen quando mi chiamò Pellegrini per un incontro. Alla fine ci siamo incontrati quasi all’una di notte e sono passato alla Juventus all’interno di uno scambio con Marco Tardelli. Lì ho incontrato Giovanni Trapattoni, il secondo allenatore decisivo per la mia carriera. Giovanni era molto diverso da Radice. Con lui c’era un rapporto franco, diretto.
La Coppa Intercontinentale a Tokyo è un ricordo bellissimo. Si giocava su un campo pieno di buche in cui il pallone rimbalzava malissimo. Mi marcava Pavoni, difensore rude che mi fece il fallo di rigore. La partita era combattutissima e quando Scirea si infortunò e lasciò il posto a Pioli temevamo la sconfitta. Poi fece gol Laudrup e andammo ai rigori. Ero nella lista dei rigoristi, ero tranquillo e feci gol. Al ritorno a Caselle ci fu una festa incredibile che non mi immaginavo.
Lo scudetto è stato alla fine una sorpresa. Noi eravamo stanchi, in crisi di gioco e di risultati, la Roma invece volava. E alla penultima noi avevamo il Milan e loro il Lecce già retrocesso. Segnò subito Graziani e noi eravamo convinti che quello scudetto fosse perso. Fece gol Laudrup e poi la nostra attenzione era al tabellone. Non credevamo ai nostri occhi nel vedere che la Roma stava perdendo in casa con il Lecce.
Scirea era un leader unico, incredibile. Era uno che aveva vinto tutto, io ero ancora uno che stava crescendo e il primo giorno di ritiro mi chiamò in camera per parlare con me e per introdurmi alla Juve. Scirea è stato un esempio che non si dimentica. Un vero capitano.
Michel era ironico, sarcastico e un campione unico. Sicuramente tra i più grandi della storia del calcio. Un giorno mi disse:
“Guarda che ti ho voluto io a Torino, non tirare solo verso la porta, a volte passala anche indietro dove ci sono io”.
Quando chiamava al mattino io dormivo sempre, ma ovviamente all’avvocato bisognava rispondere. Più volte disse che, tra i nuovi acquisti, io ero quello che lo aveva sorpreso di più.
È stata una stagione iniziata subito con la voglia di arrivare in fondo: gli acquisti di Brehme, Matthaus, Diaz, Berti e Bianchi erano un segnale per le concorrenti. Quell’anno la squadra giocava con uno schema che favoriva il mio gioco e i risultati furono subito evidenti. Fare quel record è stato qualcosa di incredibile.
Due sono state fondamentali. Alla terza giornata c’era Inter-Pisa. Noi venivamo da un 3-1 ad Ascoli con una mia doppietta. A fine primo tempo il Pisa vinceva 1-0 con gol di Bernazzani. Nell’intervallo Pellegrini scese in spogliatoio e io gli dissi: “Presidente, se giochiamo così vinciamo il campionato”. Quella partita fini 4-1.
La seconda partita decisiva è il derby di andata contro il Milan. Venivano dallo choc dell’eliminazione in coppa con il Bayern Monaco, con cui avevamo perso 1-3 dopo aver vinto 2-0 a Monaco. Quel giorno la squadra fece una partita perfetta ed anche il gol fu bellissimo. Matteoli lancia Bergomi sulla destra, Bergomi crossa e io colpisco di testa in tuffo. Da lì iniziò la corsa dei record.
Quando si vince nello spogliatoio c’è un benessere diffuso. Le vittorie cementano le relazioni ed in quell’anno abbiamo vinto quasi sempre.
I ricordi di Italia ‘90 sono bellissimi ed unici. Eravamo in ritiro a Marino, a 50km da Roma, e nel percorso di avvicinamento all’Olimpico c’era sempre una marea di gente ai lati della strada con bandiere che ci incitava. Erano veramente notti magiche con un’atmosfera elettrizzante. Io ho segnato con l’Uruguay e sono andato vicino al gol anche con l’Irlanda. Entrare in campo allo stadio Olimpico era qualcosa di indescrivibile.
Poi siamo andati a Napoli per la semifinale. E sappiamo chi era Maradona a Napoli. Il clima non era lo stesso. Poi sicuramente abbiamo giocato sotto tono, forse sono stati commessi degli errori in formazione come non inserire Baggio e Vierchowod in marcatura su Maradona nella formazione titolare. Arrivati ai rigori io non ero tra i rigoristi, ma solo in tre se la sentivano di tirare. Vicini me lo chiese la prima volta, poi una seconda. Alla fine io e Roberto Donadoni decidemmo di tirarlo (i due che poi hanno sbagliato). Quando mi sono alzato dalla panchina mi sono sentito in preda alla tensione. Goicoechea ha parato. Da quel momento ho un vuoto, non ricordo niente. Ho pochissimi ricordi della finale per il terzo posto. Rimane un incubo.
Di una cosa sono convinto, fossimo rimasti a Roma per il clima che si era creato con la gente, quel mondiale l’avremmo vinto.
Pietro Vierchowod.
Il primo in serie A contro la Lazio.
Juventus – Argentinos Juniors.
Torino – Verona
Sono due: Michel Platini e Marco Van Basten.
Maradona.
Tolte le scarpette per un anno ho viaggiato molto. Sono stato in molte parti del mondo che mi incuriosivano: la Patagonia, il Tibet, l’India,il Nepal, il Medio Oriente. Un giorno Ettore Rognoni che era a capo della struttura dello sport Mediaset mi chiamò, dicendomi se avevo voglia di provare a fare il commentatore in tv. Era il 1994 e di anno in anno sono arrivato al 2019 sempre in collaborazione con Mediaset.I l brivido che ti da la telecronaca non è uguale a quello nel correre sul campo, ma è sempre un contatto con il mondo che amo, il mondo in cui volevo vivere, il mio desiderio, la mia passione fin da quando ero un bambino.
Il calcio è lo specchio della società, e a una società in crisi politica, economica e di valori, corrisponde un calcio in crisi. Negli anni ’80 e ’90 il calcio italiano era ai massimi livelli, i migliori giocatori al mondo giocavano da noi, poi sono arrivati gli arabi e i cinesi che hanno rotti gli equilibri finanziari europei. Ora bisogna ripartire con calma e avendo ben chiaro un progetto. Dobbiamo inoltre cambiare i metodi di allenamento: i ragazzi devono essere allenati per sviluppare la loro tecnica individuale, la velocità e la libertà di espressione in campo, senza essere intrappolati in schemi tattici.
Di prepararsi a tanti sacrifici e rimanere sempre umile, solo con la passione si possono ottenere grandi risultati. Inoltre non dimenticare mai il piacere del calcio, la felicità che può dare questo sport.
Oggi vedo molti padri troppo presenti, che causano un forte stress ai loro figli. Padri convinti di conoscere il calcio meglio degli allenatori, pronti a criticare chiunque non la pensi come loro. Il giovane calciatore deve essere lasciato libero di esprimersi. Quando ero giovane mio padre mi ha sempre seguito con discrezione, non è stata mai una presenza ingombrante; mi ha lasciato libero di divertirmi e sbagliare, mi ha insegnato la lealtà e il rispetto verso gli altri.
Oggi il ruolo del procuratore è necessario, ma deve sempre privilegiare il bene del suo assistito, non il proprio tornaconto. Facendo riferimento al caso Wanda Nara-Icardi, è chiaro che in alcuni casi la comunicazione è stata sbagliata. Ci sono state uscite pubbliche da parte di Wanda Nara che potevano essere evitate; allo stesso modo, qualche mese prima, si potevano evitare le esternazioni del padre di Lautaro Martinez. Nella mia carriera non ho mai avuto procuratori: sicuramente questa scelta mi ha fatto perdere molti soldi, ma ho acquisito in carattere e personalità.
I social hanno una grande forza comunicativa, ma i giocatori (e in generale tutti coloro che ruotano attorno al mondo del calcio) devono essere molto attenti ad usarli.
Mi piace molto Kean, anche se non sta trovando grande spazio alla Juve.
In Mandzukic e Pavoletti.
Vedo il Manchester City superiore alle altre squadre, ma spero che le italiane possano essere protagoniste. Chiaramente vedo la Juve più attrezzata della Roma a vincere anche se dopo la sconfitta a Madrid servirà un miracolo
Ronaldo
Mio padre amava il calcio e questa passione me l’ha trasmessa. Ma più di ogni altra cosa mi ha insegnato la lealtà, il rispetto per il lavoro e la voglia di fare bene le cose che dobbiamo fare.
Una persona tranquilla, con una vita tranquilla. Cerco di essere un bravo padre, e dedico molto tempo ai miei figli. Vivo ancora di calcio, lo seguo alla televisione e dal vivo. E poi leggo, amo leggere. Vi consiglio l’ultimo libro che ho letto: “Tre piani” di Eshkol Nevo.
Aldo Serena, un campione che ha scritto pagine indimenticabili di calcio tra gli anni ‘80 e inizi anni ‘90, gli anni d’oro del calcio italiano. Gli anni un po’ nostalgici in cui tutti i campioni erano in Italia, gli anni in cui Aldo Serena, con la sua forza, la sua eleganza, la sua passione dominava l’area di rigore.
Grazie Aldo!
Ph copertina: it.wikipedia.org