A cavallo tra gli anni ottanta e novanta, è caduto anche l’ultimo “muro” sportivo che ancora resisteva; il basket mondiale ha finalmente aperto le porte ai giocatori NBA. Come se non bastasse, per uno strano scherzo del destino, in quegli stessi anni c’erano nella lega americana almeno una quindicina – se non di più – tra i giocatori più forti di sempre. Questo ci ha permesso di vedere la migliore squadra sportiva di tutti i tempi: il Dream Team.
La selezione USA presente ai Giochi Olimpici di Barcellona 92 è stata qualcosa di irripetibile, forse anche di inconcepibile dalla mente umana. Per descriverne la grandezza basta solo raccontare le gesta delle “seconde linee”, che hanno giocato, dominando, la Coppa del Mondo del 1994 e le Olimpiadi di Atlanta del 1996.
Nella FIBA World Cup, gli Stati Uniti hanno distrutto gli avversari con uno scarto medio di 37,7 punti e, nelle Olimpiadi di casa, hanno passeggiato verso l’oro distanziando gli avversari di almeno 22 punti in ogni partita.
Perciò, se è vero che dopo quel magico 1992 la strategia statunitense è stata quella di non mandare contemporaneamente tutte le migliori stelle NBA a disposizione, è altrettanto vero che questa scelta ha comunque continuato a dare i suoi frutti. Per dieci anni, infatti, gli USA l’hanno fatta da padroni, inanellando una striscia di 58 vittorie consecutive.
È il 4 settembre 2002 e, ad Indianapolis, si stanno svolgendo i mondiali di basket. Nell’ultima partita del girone, gli USA devono affrontare l’Argentina.
Contro ogni pronostico ed ogni logica la Seleccion – grazie soprattutto al contributo dei suoi uomini chiave Ginobili, Sconochini, Oberto, Scola e Nocioni – batte gli Stati Uniti 87 a 80.
È la prima sconfitta per la selezione stelle e strisce da quando giocano i pro dell’NBA. È la caduta degli dei.
Purtroppo per gli argentini però, questa vittoria storica passa in secondo piano perché gli USA sono comunque qualificati per il turno successivo e, solo 24 ore dopo, l’impresa è bissata dalla Jugoslavia. Che così ruba la scena all’Argentina dapprima eliminando gli Stati Uniti e, beffardamente poi, soffiandogli anche la medaglia d’oro all’overtime. Un’Argentina – praticamente orfana di Ginobili – deve inchinarsi al termine di una finale tiratissima in cui ha venduto cara la pelle.
Perciò mentre tutti si interrogano sui motivi della debacle USA e si prodigano in elogi alla nazionale di Bodiroga, Divac e Stojakovic; pochi si accorgono che la nazionale sudamericana spezza – per la prima volta nella storia – l’egemonia dei professionisti a stelle e strisce, sale sul secondo gradino del podio e soprattutto prende definitivamente coscienza delle proprie potenzialità.
E non importa se la Federazione ha i soldi sufficienti al massimo per voli aerei con tre scali, né se le trasferte sono di 33 ore e neppure se devono pagare di tasca loro l’assicurazione pur di poter giocare. Sono un gruppo di amici che gioca divinamente a basket e farebbero di tutto l’uno per l’altro.
Alle Olimpiadi di Atene del 2004 gli USA, scottati dalla bruciante eliminazione patita per di più in casa, si presentano come un roster pronto a centrare l’oro. Senza se e senza ma.
Stavolta le stelle ci sono eccome. Certo non tutte, ma ci sono delle garanzie come gli MVP Duncan e Iverson, giocatori franchigia come Marbury e Odom e giovani astri nascenti come Wade e James.
Ma c’è una squadra che vuole vincere più di loro, una squadra che due anni prima ha sovvertito l’ordine naturale delle cose ma non è riuscita a completare l’opera. Una squadra che ha bisogno dell’oro olimpico per sedersi al tavolo dei più grandi.
Il 27 agosto si disputano le semifinali e l’Argentina ritrova di nuovo gli Stati Uniti. Stavolta non è una partita di girone e nemmeno hanno il “favore” di venire sottovalutati, stavolta è partita vera.
Manu Ginobili gioca semplicemente una partita da consegnare agli annali, il resto della truppa con Scola, Montecchia e Nocioni cuce magistralmente il gioco e puntella il risultato.
Argentina 89 – USA 81.
Il fatto che poi l’Argentina conquisti anche la finale a spese, ahinoi, dell’Italia è quasi una logica conseguenza. Quei dodici vestiti con la canotta albiceleste sono ad Atene per completare quello che hanno iniziato ad Indianapolis.
In cuor loro, i componenti della Generacion Dorada già sapevano di essere destinati a qualcosa di speciale, semplicemente il resto del mondo non se n’era ancora reso conto; adesso sì. Adesso tutti sanno chi sono i campioni olimpici.
Due anni dopo, l’Argentina gioca da protagonista anche i Mondiali in Giappone del 2006. Ma stavolta le semifinali sono fatali a Ginobili, Luis Scolae compagni. In una semifinale stupenda contro la Spagna, Nocioni ha la palla della vittoria a pochi secondi dalla fine, ma il suo tiro finisce sul ferro. Saranno Gasol e compagni a giocarsi la finale, dove ancora una volta non ci sono gli Stati Uniti.
Ed è proprio questo l’evento da sottolineare. A trionfare è la Spagna ma soprattutto è la fine di quattro bellissimi e imprevedibili anni in cui il mondo è stato rivoltato sottosopra. Gli USA ne hanno abbastanza. La loro politica di mandare giocatori NBA senza prepararli al basket di area FIBA, sottovalutando gli avversari e con formazioni spesso troppo improvvisate, si è rivelata perdente e non verrà più utilizzata.
Da quel momento, Team USA ha nuovamente ristabilito le gerarchie mondiali. È tornato a fare ciò che tutti hanno sempre preteso, vincere e costringere le altre squadre a giocare, al massimo, per la medaglia d’argento.
Ma c’è stato un momento – lungo ben quattro anni – in cui molte squadre hanno avuto la possibilità di giocare per la medaglia d’oro e alcune si sono persino tolte la soddisfazione di battere gli Stati Uniti.