Tokyo, Olimpiadi 1964, 50km di marcia. È il giorno in cui si compie il capolavoro sportivo di uno dei più grandi della marcia italiana. È la storia di un uomo che ha marciato due volte: la prima volta per la vita e per la libertà, la seconda per la gloria. È la storia dell’oro olimpico di Abdon Pamich.
Quel giorno a Tokyo piove e fa molto freddo e la gara è lunga e massacrante. Tra i favoriti alla partenza c’è il nostro Pamich, italiano, nato a Fiume (attuale Croazia) nel 1933.
Non è stata facile l’infanzia di Pamich. Fiume è una città strategica, una città bella e multietnica dove convivono assieme l’animo italiano, austriaco, ungherese e slavo. Ma a volte la storia scrive brutte pagine e così la parola “foibe” entra nella vita di questa città . Con il finire della seconda guerra mondiale la situazione per i fiumani italiani si complica perché l’ascesa di Tito è sempre più forte e le uccisioni sono all’ordine del giorno.
E così Pamich dopo un ultimo giorno passato a guardare il suo mare, inizia la sua prima marcia: un treno con il fratello verso Trieste e poi la fuga nel Carso verso l’Italia. Neppure in Italia la situazione è facile tra un campo profughi e l’altro ma finalmente il dramma ha un finale positivo e Pamich si trasferisce a Genova dove può dedicarsi alla marcia, lo sport di cui si era innamorato guardando una gara amatoriale, lui che prima amava la boxe. Un ruolo importante ce l’ha il suo allenatore Giuseppe Malaspina che nel 1940 doveva partecipare ai giochi di Tokyo poi annullati per la follia della guerra. Malaspina insegna a Pamich i segreti di questo sport, ma anche la forza mentale e psicologica per esser ancora più forte.
E nella marcia Pamich domina con un numero infinito di titoli italiani. Nel 1956 vince una gara storica, la Praga-Podebrady, una gara che oggi purtroppo non viene più svolta ma che per i marciatori era sinonimo di mito. E capisce che il suo sogno olimpico potrebbe avverarsi. Partecipa ai giochi di Melbourne, ma il caldo torrido inatteso lo penalizza e finisce fuori medaglia.
E con il racconto torniamo a Tokyo e a quella giornata fredda e piovosa in cui Abdon Pamich parte come uno dei favoriti. A partire fortissimo è il russo Agapov: il suo ritmo è estenuante, troppo. E così dopo solo 15 km il russo crolla e inizia la corsa a due tra l’Italiano e l’inglese Nihill.
I due marciano assieme fino al km 35. Nonostante faccia freddo, i rifornimenti non offrono bibite calde, bensì solo bevande ghiacciate. Pamich inizia ad avere fortissimi dolori intestinali e non può far altro che fermarsi per liberarsi. I giapponesi, molto riservati e pudici, guardano la scena in modo surreale. Ma Pamich è bravo a nascondersi dietro due guardie in modo tale che la sua necessità passi quasi inosservata. Pamich definirà quei momenti drammatici e quei dolori lancinanti. Ma dopo la sosta riparte più forte che mai e in pochi chilometri torna sull’inglese.
A 3 km dalla conclusione ecco l’ultimo attacco sferrato con forza verso la gloria di Olimpia.
E lo stadio olimpico è lì ad aspettarlo per il trionfo più bello che un atleta possa sognare.
Al traguardo Pamich spezza il filo del traguardo con tanta decisione e tanta forza, quella forza che lo ha portato nell’Olimpo dello Sport. Quell’immagine diventa quasi icona.
Non si ferma Pamich, continua a marciare, fino ai giorni nostri. Ancor oggi marcia più volte a settimana e ricorda la sua storia perché “la storia, più la si diffonde meglio è”. Ogni anno partecipa alla “corsa del ricordo” per non dimenticare la follia delle foibe.
Foto di copertina: https://www.theitaliantouch.org/it/volume1/sport/individuali/abdon-pamich/