Montréal, Giochi Olimpici 1976, quando la storia di un campione diventa leggenda olimpica, da tramandare alle generazioni future. È la storia dell’ultima consacrazione di Klaus Dibiasi, l’angelo biondo che in quegli anni divenne il vero mito dei tuffi.
Klaus Dibiasi è nato in Tirolo, in Austria, ma ha sempre vissuto a Bolzano. Ed è proprio in quella città che si innamora dei tuffi in piscina; se ne innamora guardando il padre, in una storia di famiglia che diventa storia olimpica. Il padre aveva infatti partecipato alle Olimpiadi di Berlino del 1936 e fu felicissimo di insegnare al figlio le tecniche di questo sport e i sacrifici necessari per raggiungere i traguardi. Il figlio Klaus fu un ottimo allievo: nella piattaforma da 10 metri vinse l’argento olimpico ancora giovanissimo, aveva 17 anni, a Tokyo nel 1964, poi l’oro a Città del Messico nel 1968 e a Monaco nel 1972 in quelle Olimpiadi insanguinate dal terrorismo. Non si fermò ai titoli olimpici: in quegli anni vinse tutto, diventò il più forte. Le sue entrate in acqua, perfette e senza spruzzi, incantavano il mondo.
E anche a Montreal si presentò come il favorito e l’uomo da battere. E si presentò con un onore e un onere in più, quello di essere l’alfiere della spedizione azzurra, un ruolo che Klaus accettò con grande orgoglio e grande amore per il proprio paese. Ma a Montreal Dibiasi non era in grande forma: dolori alle gambe e alle braccia, difficoltà a camminare, sguardo stanco e affaticato. La gara dal trampolino si concluse all’ottavo posto e Klaus era indeciso se partecipare a quella dalla piattaforma.
Klaus Dibiasi era semplicemente un fenomeno e lo dimostrò ancora una volta in quella finale olimpica. Fu una prestazione leggendaria, una prestazione che andò oltre le capacità umane. Klaus fece una serie di tuffi perfetti, senza errori, senza incertezze. E tutti erano ad alto coefficiente di difficoltà.
Il suo principale avversario a Montreal aveva un nome che diventerà anch’esso leggenda, per i tuffi ed anche per le sue vicende personali: si chiamava Greg Louganis, ma questa è un’altra storia.
In quella finale olimpica dalla piattaforma il divario fu netto: Louganis giunse secondo con un distacco di 35 punti, un’enormità.
Lo stesso Dibiasi considera quella finale dalla piattaforma la gara più bella della sua carriera, la gara in cui il campione divenne leggenda per sempre. Klaus concluse la carriera dopo quell’Olimpiade per intraprendere quella di allenatore perché uno come lui, da sempre in piscina, non poteva abbandonare il mondo dei tuffi.
C’è una frase che più di altre racconta Klaus, una citazione dall’alto significato perché detta dal grande rivale e amico Giorgio Cagnotto, compagno e avversario di tante battaglie:
“I tuffi prima di lui erano un’altra cosa. Klaus li ha cambiati, come i Beatles hanno cambiato la musica”.
Giorgio Cagnotto
E Klaus afferma spesso che uno dei motivi per cui è diventato grande era proprio per la presenza di Giorgio Cagnotto: i due si stimavano e per superarsi l’uno con l’altro, si miglioravano, creando una delle rivalità più belle e vincenti della storia spoprtiva italiana.
A Montreal Klaus Dibiasi concluse la carriera, da vincente, perché Klaus Dibiasi, l’angelo biondo, era semplicemente un fuoriclasse, un fenomeno, una leggenda olimpica.
foto di copertina: https://www.repubblica.it/sport/vari/2017/10/05/news/i_70_anni_di_klaus_dibiasi_bello_sentirsi_chiamare_angelo_biondo_ma_che_pressione_-177462496/