RECENSIONE DI A.C.
Stoccarda 26 agosto 1986, campionati europei di atletica leggera. Nei 10.000 metri il podio è tutto italiano. Bronzo per Salvatore Antibo, che due anni prima era stato quarto alle Olimpiadi di Los Angeles; argento per Alberto Cova, campione europeo, mondiale e olimpico in carica. Sul gradino più alto del podio sale il terzo italiano, Stefano Mei, che scattando a 300 metri dal traguardo ha staccato inesorabilmente tutti i rivali. Un successo straordinario per il ragazzo di La Spezia. Una dimostrazione di potenza unita all’eleganza nella corsa che solo i grandi campioni possiedono.
Erano gli anni in cui il fondo e il mezzofondo italiano dominavano la scena internazionale, soprattutto a livello europeo. Negli anni settanta, per limitarci al settore maschile, c’erano stati prima Franco Arese poi Venanzio Ortis. Gli anni ottanta furono dominati dal terzetto sul podio a Stoccarda: Antibo, Cova, Mei e poi da Francesco Panetta, Mariano Scartezzini e Alessandro Lambruschini. Nella maratona brillavano le stelle di Orlando Pizzolato e di Gelindo Bordin, e nella marcia quella di Maurizio Damilano. Begli anni, quelli, per l’atletica italiana. Tanti campioni che è giusto ricordare.
Uno di questi grandi dell’atletica italiana, Stefano Mei, è il protagonista del libro, uscito da non molto, di Armando Napoletano, «Due piedi sulle nuvole» (Edizioni Giacché). Un bel libro: agile, documentato, ricco di informazioni e commenti appropriati. In esso l’autore ricostruisce tutta la carriera del grande atleta spezzino, partendo dagli strabilianti risultati a livello giovanile, proseguendo con il successo agli Europei di Stoccarda nei 10.000, seguito dall’argento nei 5.000 e, pochi giorni dopo, dal record italiano dei 1.500 metri, stabilito a Rieti nella stessa riunione in cui Sebastian Coe stabilì il suo primato personale. Il libro continua poi sino agli ultimi anni della carriera di Mei, disturbata da qualche infortunio di troppo.
È un libro a più mani, quello di Napoletano. In parte l’autore ricapitola personalmente, da cronista, la storia sportiva di Stefano Mei, in parte la fa descrivere direttamente da lui; infine inserisce le testimonianze di importanti giornalisti del tempo e arricchisce il volume con interventi diretti dei grandi avversari di quegli anni, Cova e Antibo, ma anche di Sebastian Coe, che per Mei è sempre stato, oltre che un amico, anche un punto di riferimento.
Non manca, ovviamente, la testimonianza dell’allenatore di Mei, Federico «Chicco» Leporati, e non mancano i riferimenti ai difficili rapporti con i dirigenti della Federazione. Il fatto è che in quegli anni molti atleti ricorrevano ad «aiutini» più o meno leciti, soprattutto all’autoemotrasfusione. La proposero anche a Mei, che però la rifiutò. I responsabili della Federazione non gradirono il rifiuto e gliela fecero pagare cara, limitando, se non proprio compromettendo, la sua carriera. Eppure è proprio di questa scelta che Mei può andare orgoglioso. Non importa solo cosa si vince, ma anche, forse soprattutto, come si vince. «Stefano è stato uno dei pochissimi atleti ad aver vinto una competizione internazionale senza alcuna integrazione esterna e men che meno doping» ha scritto il suo allenatore Federico Leporati. Una «medaglia» che dà la misura dell’atleta, ma anche dell’uomo.