E’ il 2 Aprile 1967, è l’edizione numero 51 del Giro delle Fiandre. E’ freddo, c’è pioggia, c’è tanto vento, un classico di queste mitiche corse del nord. Si parte da Gand, si arriva a Gentbrugge. Il Giro delle Fiandre, la Ronde, in Belgio è molto più di una gara di ciclismo: è cultura, tradizione, è forse religione. E nonostante la pioggia quella domenica mattina sono in tantissimi alla partenza della classica. E c’è un motivo in più per esserci. Il ciclismo sta vivendo l’inizio di un qualcosa che sarà pura leggenda: ed è un qualcosa che ha 22 anni e si chiama Eddy Merckx. Eddy ha dominato la stagione fino quel momento, vincendo la Sanremo e la Gand Wevelgem e quel 2 Aprile è il logico favorito.
Tra le squadre italiane c’è la Salvarani. Il direttore sportivo è Luciano Pezzi e il capitano è Gimondi (che in quell’anno vincerà il Giro). Il giorno prima della gara Luciano Pezzi indica Dino Zandegù, padovano di Rubano, come colui che deve seguire come un’ombra il cannibale. Merckx ha il 130 e cosi nel guantino di Zandegù viene appeso un cartoncino con scritto 130. Come fosse facile stare a ruota di Merckx.
Inizia la gara e nel gelo del Belgio Zandegù si stabilisce alla ruota di Merckx. La gara è come sempre durissima: i muri delle Fiandre con le loro pendenze folli, le pietre rese scivolose dalla pioggia, la folla urlante che incita gli atleti. Una festa dello sport, una fatica immane per i protagonisti. E Merckx spinge in modo forsennato riducendo sempre più la resistenza di chi sta dietro. Si arriva al mitico Grammont e dietro al belga rimangono solo Zandegù, Gimondi, l’inglese Hoban e gli altri belga Forè e Monty.Altro strappo il terribile Kasteelstraat e con Mercks rimangono solo Zandegù e Forè. il 130 continua a spingere, sempre più nervoso, sempre più rosso, di sudore e di rabbia perchè quei due non si staccavano.
Ed ecco che la storia di quel Giro delle Fiandre cambia ed anche la storia del nostro Dino Zandegù: Dino vede Eddy un pò affaticato e decide di attaccare. Mancano una ventina di chilometri. L’attacco è deciso e quando Dino si gira c’è Forè, ma non c’è il 130. E’ il momento dell’ora o mai più e Zandegù vola verso Gentbrugge. E’ il momento più importante della sua carriera e l’ultimo chilometro Dino lo percorre in apnea fino a che anche Forè si stacca. E al traguardo Dino Zandegù è solo: alza il braccio destro, il sinistro ben saldo sul manubrio, e vince, scrivendo una bellissima pagina di ciclismo italiano.
Una pagina che continua quando l’indimenticato Adriano De Zan gli chiede di far qualcosa per tutti quelli italiani che attendono dal mattino, al freddo e al gelo questo momento. Sono per la maggior parte minatori che in quegli attimi sentono ancor più forte l’orgoglio di essere italiani. E Dino Zandegù intona le note di ‘O sole mio’: si emoziona lui, piangono i minatori, lo abbracciano. E’ un momento bellissimo. E’ la vittoria di Zandegù, la vittoria e il riscatto di tutti quei minatori che vivono in Belgio. E come scrisse Mario Fossati in Repubblica: “nessun tenore sarebbe mai stato capace di intonare O Sole Mio dopo aver rincorso Merckx tutte quelle ore”.
Tante storie sono state scritte al Giro delle Fiandre e oggi abbiamo voluto ricordare il trionfo di un campione italiano sempre corretto, sempre sportivo, spinto dalla grande passione per il ciclismo. Era il 2 aprile 1967, era la Ronde, era il capolavoro di Dino Zandegù