RECENSIONE DI A.C., professore di italiano e latino e appassionato di sport
«Covaaa! Covaaa! Covaaa!» scandiva, quasi urlando, Paolo Rosi dallo schermo della RAI, mentre il campione italiano, con una volata impressionante, rimontava negli ultimi 50 metri gli avversari che avevano tentato la fuga e vinceva il titolo mondiale dei 10.000 metri. Un’impresa e un grido che sono ancora ben presenti nella memoria e nel cuore di chi ha avuto la fortuna di vivere in diretta, tramite la RAI, quello straordinario evento. Succedeva ad Helsinki, il 9 agosto del 1983.
In realtà non era la prima volta che Paolo Rosi accompagnava con quel suo grido i successi del campione italiano. Era già successo l’anno prima, il 6 settembre 1982, ad Atene, in occasione dei campionati europei. Alberto Cova, 23 anni allora, era un nome già noto tra gli addetti ai lavori e gli appassionati di atletica, che da lui si aspettavano un medaglia in quegli Europei. Ma il grande pubblico lo conobbe proprio in quell’occasione, anche perché ebbe la fortuna che la gara dei 10.000 si svolse durante il TG1 della sera, che si collegò con Atene lasciando spazio a quel grido di Paolo Rosi e fece conoscere a tutti quel ragazzino brianzolo dal baffetto nero.
Ma l’enfasi con cui Paolo Rosi ripeté quel grido in occasione dei mondiali di Helsinki è rimasta nella storia dell’atletica e della televisione. Era una vittoria attesa da tutti, quella di Cova al mondiale finlandese, dopo il titolo europeo conquistato ad Atene, anche perché allora il mezzofondo, prima che arrivassero in frotte gli Africani, era praticamente tutto europeo e dunque vincere un Europeo voleva dire essere l’uomo da battere anche ai Mondiali e alle Olimpiadi. Ma non era una vittoria scontata, tanto più che la gara si svolgeva in Finlandia, la terra di Paavo Nurmi, in casa Martti Vainio, il più accreditato concorrente di Cova. Anche per questo, oltre che per la meravigliosa volata finale, è stata una vittoria straordinaria, una di quelle che fanno la storia dell’atletica e che ha consacrato per sempre Alberto Cova tra i grandi della sua specialità. Un grande che l’anno successivo, con la medaglia olimpica di Los Angeles (6 agosto), sarebbe diventato grandissimo. Un successo, quello olimpico, meno difficile, meno incerto dei due precedenti, ma il più importante, quello che segna la differenza tra un campione e un mito. Per sempre.
È stato un triennio straordinario, quello di Alberto Cova dal 1982 al 1984: unico mezzofondista italiano a cui sia riuscita la tripletta nei 10.000 metri: Europei, Mondiali, Olimpiadi. Ma a quel triennio va aggiunto anche il doppio oro dell’anno successivo in Coppa Europa, prima nei 10.000 poi nei 5.000. Né va dimenticata la medaglia d’argento agli Europei di Stoccarda nel 1986, alle spalle di Stefano Mei e davanti a Totò Antibo.
Ma non c’è solo pista nella carriera di Alberto Cova. Il suo palmares è ricchissimo di successi anche nelle grandi gare di cross, nazionali e internazionali, e in tantissime altre manifestazioni. Un campione assoluto, una leggenda dello sport italiano e mondiale.
Una vita sportiva intensa, che ora Alberto Cova ha riassunto in un libro, «Con la testa e con il cuore», scritto con la collaborazione del giornalista Dario Ricci e pubblicato da Sperling & Kupfer. Un libro che ci consente di conoscere nel profondo Alberto Cova, come atleta e come uomo
Cova ripercorre tutta la sua carriera: la scoperta dell’atletica grazie all’insegnante di educazione fisica delle Medie, gli esordi nell’Atletica di Mariano Comense, dove la famiglia si era trasferita da Cremnago di Inverigo ove Cova era nato il 1° dicembre del 1958, il passaggio alla Pro Patria di Milano, la Nazionale, sino al ritiro dall’attività agonistica e, ultima in ordine di tempo la scelta della maratona. Per chi ha vissuto quegli anni e ha seguito quelle imprese, leggere il libro di Cova significa riassaporare antiche emozioni, rivedere le sue volate travolgenti e pure così eleganti. Significa rituffarsi in un periodo di grande atletica italiana, ritrovare tanti campioni ai quali bisogna essere grati per le emozioni che hanno regalato, primo fra tutti, ovviamente, Alberto Cova. Ma il libro è prezioso anche per i più giovani, per chi non c’era in quegli anni, soprattutto per chi vuole capire cosa significhi praticare lo sport a livello professionistico, o più semplicemente cosa significhi nella vita porsi un obiettivo e cercare di raggiungerlo «con la testa e con il cuore».
Il libro non è solo una rassegna di gare, di tante vittorie e di qualche sconfitta. C’è tutto questo, ovviamente, ricostruito con i ricordi personali di Cova e con gli articoli dei giornali dell’epoca. Ma c’è molto di più. Cova dà libero sfogo ai suoi sentimenti, ricorda le emozioni, le gioie e le delusioni, ci ripresenta le tante domande che si è posto nella sua vita di atleta. Ci spiega soprattutto come ha costruito la sua carriera, sotto la guida di saggi maestri, come Sergio Colombo all’Atletica Mariano Comense e soprattutto Giorgio Rondelli alla Pro Patria Milano. «Con la testa e con il cuore», appunto.
Ci vuole talento naturale per emergere, ma il talento non basta: «Senza talento non vinci, ma con il solo talento non vinci» sintetizza Cova. Servono tanti altri ingredienti. Si parte dalla passione, ossia la capacità di emozionarsi per qualcosa che si desidera raggiungere. E poi «lavoro, prima di tutto», un lavoro metodico, giorno per giorno, una preparazione che non lascia niente al caso e che significa anche capacità di scegliere gli obiettivi: «Scegliendo si impara» chiosa Cova. Un lavoro che comporta inevitabilmente una serie di sacrifici non facili da sopportare: «Provate a immaginare che cosa vuol dire mangiare suppergiù sempre le stesse cose; andare al cinema due o tre volte l’anno e solo di pomeriggio; partecipare a una cena tra venticinquenni, concedersi solo un piatto di bresaola e rientrare a casa tassativamente alle 22, perché il giorno dopo c’è l’allenamento duro e bisogna dormire bene, per poter essere performanti». Ma indispensabili, dice Cova, sono anche «una sana educazione alla competizione, alla competitività», e il giusto rispetto per gli avversari: «Si è rivali in pista, in gara, in palestra, ma fuori competizione il rispetto deve essere il presupposto di ogni tua azione e parola».
Regole che valgono per lo sport, ma, fa capire Cova, devono valere anche nella vita di tutti, non solo degli sportivi.