Recensione di A.C., giornalista, professore di italiano e latino e grande appassionato di sport
Un’impresa sportiva straordinaria, irripetibile. In un’Italia lacerata dalla guerra, tra deportazioni, bombardamenti, fucilazioni. Questo è «Giocare col fuoco. Storie dal campionato perduto del 1944» di Marco Ballestracci (Mattioli 1885 Editore), da poche settimane in libreria.
Ha scritto tanti libri di sport, Marco Ballestracci. Ed ha ottenuto riconoscimenti prestigiosi: due volte il Premio Selezione Bancarella Sport, nel 2009 con «A pedate. 11 eroi e 11 leggendarie partite di calcio» e nel 2012 con «La storia balorda», e una volta, nel 2016, il Premio Coni con «I guardiani».
Ma i suoi libri non parlano solo sport. Anzi le vicende sportive sembrano quasi un pretesto intelligente per ripercorrere fatti storici, soprattutto epoche difficili, cruciali, come la conquista del potere da parte di Hitler o la seconda guerra mondiale. Su questo doppio binario è impostato anche «Giocare col fuoco».
Il filo conduttore è, appunto, il campionato di calcio che tra la fine del 1943 e il luglio successivo fu disputato nonostante la guerra, l’occupazione nazista dell’Italia settentrionale e i continui bombardamenti da parte degli Alleati. Un campionato che quel che restava del regime fascista, ossia la Repubblica di Salò, volle organizzare per «dare alla gente qualche ora di svago», per sollevare il morale della popolazione e far dimenticare, almeno per qualche momento, i bombardamenti. E per dare l’illusione che la guerra non fosse affatto persa.
Al campionato parteciparono formalmente le squadre del centro-nord del Paese, ossia della parte dove non erano ancora giunti gli Alleati, ma poi, di fatto, molte di queste squadre si ritirarono lungo il percorso, per l’impossibilità di effettuare le necessarie trasferte o per altri problemi causati dalla guerra.
Non serve qui riassumere quel campionato. Basta ricordare che si concluse con un triangolare disputato all’Arena di Milano nel luglio del 1944. Vi parteciparono, avendo vinto le proprie semifinali, tre squadre: il Venezia, il Torino FIAT, ossia il Grande Torino allenato da Vittorio Pozzo che per l’occasione aveva rinforzato la squadra con l’innesto di Silvio Piola, e la formazione dei Vigili del Fuoco La Spezia, la Cenerentola tra le finaliste, che invece, pareggiando con il Venezia e sconfiggendo addirittura il Torino, riuscì a far suo quel titolo che sarebbe dovuto essere di livello nazionale, ma che fu poi degradato a Campionato di Guerra, tanto che Lo Spezia non figura nell’albo d’oro tra i vincitori del campionato di serie A e solo nel 2002 la Federcalcio, a titolo di risarcimento morale, ha deciso di «assegnare una medaglia d’oro al valore sportivo alla squadra Spezia Vigili del Fuoco, un titolo sportivo onorifico del quale la squadra potrà fregiarsi per sempre anche sulle maglie». Così si spiega quello scudetto perenne che Lo Spezia porta sulla propria maglia.
Marco Ballestracci nel suo libro ripercorre proprio le vicende della squadra dei Vigili del Fuoco: la sua costituzione, l’arruolamento dei giocatori tra i vigili del Fuoco, le difficoltà per raggiungere il campo di gara, per lo più in Emilia, a Carpi, essendo impraticabile, causa bombardamenti, lo stadio cittadino, sino alla vittoria finale del 16 luglio 1944 contro il Grande Torino. Si dilunga anche in descrizioni dettagliate delle partite principali, spiega le tattiche messe in atto dall’allenatore Ottavio Barbieri, con tanto di catenaccio e libero fisso dietro i terzini, le azioni e i gol decisivi. Elencando ovviamente i protagonisti di quella straordinaria impresa.
Anche del Grande Torino, per l’occasione abbinato alla FIAT di Valletta (mentre la Juventus era Cisitalia), Marco Ballestracci segue un po’ le vicende, quelle sportive, ma anche quelle extracalcistiche, in particolare i rapporti non sempre facili con le autorità politiche.
Ma il campionato di calcio, come dicevo, è solo il filo conduttore del libro di Ballestracci. È per l’autore l’occasione per parlare di quel periodo, delle violenze da parte dei fascisti e degli occupanti nazisti, della guerra con tutte le sue conseguenze per la popolazione e non solo per i giocatori di calcio, che anzi godevano di uno status di privilegiati essendo di fatto militarizzati o formalmente assunti in aziende, come la FIAT, indispensabili per il sostegno alla guerra; così evitavano di essere inviati nei Lager in Germania.
Troviamo nel libro ripetuti riferimenti ai bombardamenti aerei delle città, di La Spezia con il suo porto e l’arsenale, naturalmente, ma anche di Genova, di Torino e di Brescia. Città «con le case e i grandi depositi sventrati e coi brandelli di muro che rimanevano in piedi come invocazioni al cielo perché ostacolasse in qualche modo nuovi passaggi di bombardieri» scrive Ballestracci, che poi aggiunge: «le case investite da esplosioni assomigliavano a crocifissi che Cristo aveva abbandonato». Ma non ci sono solo le distruzioni materiali; ci sono le vittime civili, le retate da parte dei fascisti e dei nazisti, le esecuzioni sommarie con i corpi lasciati per giorni appesi alle viti in modo che fossero da insegnamento e minaccia per tutta la popolazione. Ma non tace, Ballestracci, neppure le rivalità in seno ai gruppi partigiani, che in taluni casi portarono a violenze estreme anche dopo la fine del conflitto.
Non sono racconti di fantasia: «I dettagli che afferiscono alla guerra e alle fasi del campionato – precisa Ballestracci – sono assolutamente fedeli e legati a precise ricostruzioni storiche», mentre, come è ovvio, le vicende dei protagonisti sono puramente verosimili; ma, aggiunge l’autore, in base alle storie che ancora si raccontano nella Lunigiana «il verosimile sfiora davvero la realtà».
Un libro interessante, dunque, un libro percorso da impegno civile, tanto più efficace perché Ballestracci utilizza due registri stilistici. Quando descrive le partite di calcio, soprattutto la finale tra i Vigili del Fuoco La Spezia e il Grande Torino, usa il ritmo di un cronista appassionato e partecipe, in modo da trasmettere al lettore le emozioni di quella straordinaria impresa. Quando, invece, riferisce gli orrori dell’occupazione nazifascista o della guerra, quando parla dei morti e dei deportati nei Lager, si limita a riportare i fatti con assoluta precisione: luoghi, nomi, numeri. Ma non aggiunge commenti. I fatti, nella loro tragica realtà, si commentano da soli.