Recensione di A.C., Professore di lettere e letteratura italiana e latina, giornalista e appassionato di sport
Nessuno può dire, mentre vanno on-line queste note, se il Milan riuscirà nell’ardua impresa di cucirsi sulla maglia il suo diciannovesimo scudetto. Meno che mai si può dire se, nei prossimi anni, riuscirà a conquistare la sua ottava coppa di Campione d’Europa, un trofeo che gli manca da ben quindici anni (e al calcio italiano manca dal 2010). E tuttavia, nel rinnovato interesse che il Milan ha saputo suscitare nelle ultime due stagioni, dopo anni di semianonimato, può essere assai piacevole, anzitutto per i tifosi milanisti ma non solo per loro, leggere «Il Milan col sole in tasca. Gli anni 1986-1994», il bel libro di Giuseppe Pastore, edito dalla romana 66THAND2ND.
È un periodo assai breve, quello preso in esame, nella ultracentenaria storia del Diavolo Rossonero, ma è stato un periodo entusiasmante, probabilmente irripetibile, che ha visto il Milan primeggiare in Italia, in Europa e nel Mondo: quattro scudetti, tre Champions League, due Coppe Intercontinentali, quattro Supercoppe Italiane, tre Supercoppe Europee. Trionfi ottenuti grazie ad una impostazione societaria efficiente e lungimirante e, almeno all’inizio, con un gioco del tutto nuovo, fatto di fantasia, potenza atletica, rigore tattico, uniti ad eccezionali doti tecniche individuali. Un calcio nuovo, spettacolare, molto lontano dalla tradizionale impostazione del calcio italiano.
È una vera rivoluzione sportiva, quella del Milan. Voluta da un presidente munifico e innovatore come Silvio Berlusconi e realizzata, nella parte iniziale, da un allenatore altrettanto innovatore e visionario come Arrigo Sacchi e continuata, pur con altri metodi, dal più pragmatico Fabio Capello.
Giuseppe Pastore ripercorre questa storia. Del mondo del pallone, e non solo del Milan, rivela una conoscenza approfondita, dettagliata, minuziosa. Una conoscenza che gli fa tanto più onore se si considera che, essendo nato a Mola di Bari nel 1985, non ha vissuto in presa diretta, se così si può dire, gli eventi di quel periodo. Da buon giornalista si è informato, ha studiato, ha parlato con i protagonisti e alla fine è riuscito a condensare le sue conoscenze in un libro che si fa leggere con grande piacere, anche se non si è milanisti. Lo si può leggere come un romanzo, che ha al centro la storia del Milan di Berlusconi, ma viene immersa, questa particolare storia del Milan, nella grande Storia dell’Italia di quegli anni assai complicati. L’autore, infatti, ci parla delle stragi di Capaci e via D’Amelio, di Tangentopoli e del tramonto della Prima Repubblica, della nascita delle televisioni commerciali e del trionfo elettorale di Berlusconi con la sua Forza Italia. Argomenti, questi ultimi, che toccano direttamente le vicende sportive del Milan.
Il linguaggio di Pastore è agile, scorrevole, avvincente, arricchito di tanto in tanto da richiami a libri, film, canzoni. I capitoletti sono brevi e si divorano in un baleno, ma, finitone uno, il titolo del successivo invita a continuare la lettura. Difficile staccarsi dalla pagina.
Ho detto che Pastore ha una conoscenza minuziosa del panorama calcistico, ma il suo racconto non è mai pedante, mai tecnicistico. Alterna il fatto sportivo con le vicende umane dei personaggi del suo racconto. Soprattutto scrive senza nessuna piaggeria verso i protagonisti, di cui, pur con molta leggerezza, non nasconde alcuni aspetti poco esaltanti, si tratti di sport, di politica o di mafia. Del Milan, ad esempio, ricorda lo scippo di Bergamo ai danni dell’Atalanta in Coppa Italia e la scandalo di Marsiglia in Coppa dei Campioni.
Ci sono nel libro anche alcuni episodi forse sconosciuti al grande pubblico. Ad esempio, si racconta che Silvio Berlusconi, prima di acquistare il Milan, aveva tentato per ben due volte di farsi cedere l’Inter da Ivanoe Fraizzoli. Si spiega come mai Van Basten sia finito al Milan quando era già stato firmato un contratto tra l’Ajax e la Fiorentina, e, al contrario, come mai Roberto Baggio si sia accasato alla Juventus dopo che il suo procuratore aveva firmato un contratto con il Milan. E tanti altri aneddoti che si scopriranno leggendo.
Ma domina ovviamente il calcio giocato, a partire dalle intuizioni di Berlusconi e dal suo programma, presentato a tutta la squadra nell’estate 1987, subito dopo aver sostituito Nils Liedholm, con cui non c’era mai stato feeling, con Arrigo Sacchi: «Nel 1988 vincere lo scudetto. Nel maggio 1989 vincere la Coppa dei Campioni. Nel dicembre 1989, andare a Tokyo e vincere la Coppa intercontinentale. Quel giorno dovremo esser campioni del mondo».
Un programma da grande sognatore, che però è stato puntualmente realizzato. Grazie alle scelte di Sacchi, l’astuzia di Adriano Galliani e Ariedo Braida, la forza travolgente di Ruud Gullit e Frank Rijkaard, l’eleganza di Marco Van Basten, la seconda vita sportiva di Pietro Paolo Virdis, la fantasia di Roberto Donadoni, il moto perpetuo di Alberico Evani e Angelo Colombo, la saggezza tattica di Carlo Ancelotti, l’imprevedibilità di Daniele Massaro, la sicurezza del reparto difensivo formato, davanti al portiere Giovanni Galli, da Mauro Tassotti, Paolo Maldini, Filippo Galli, Alessandro Costacurta e Franco Baresi, capitano di nome e di fatto. Questa la prima generazione del fenomeno Milan. Il Milan di Sacchi. Il Milan degli «Immortali».
Quando Sacchi, dopo quattro anni, abbandona il Milan e passa a guidare la Nazionale, lo sostituisce Fabio Capello. Per molti critici, quello lasciato da Sacchi è un Milan ormai finito, vecchio, spompato. Tocca a Capello rivitalizzarlo. E lui lo fa benissimo, anche se non si può negare che della rivoluzione sacchiana non resti più molto. Pastore definisce questo passaggio come «una mutazione profonda, dall’adolescenza all’età adulta, dall’utopia di Sacchi al pragmatismo di Capello, dalla poesia alla prosa, dal gradimento al fatturato». Se con Sacchi il Milan aveva puntato più alle coppe internazionali che al campionato, con Capello avviene il contrario: una sola Champions ma tre scudetti consecutivi.
È un Milan diverso. I tre olandesi chiudono gradualmente il loro ciclo. Della vecchia guardia continuano ad offrire il loro apporto Massaro, Evani, Filippo Galli e soprattutto l’imbattibile quartetto difensivo Tassotti Baresi Costacurta Maldini. Entrano nuovi protagonisti: Marcel Desailly, Jean-Pierre Papin, Gianluigi Lentini, Zvonimir Boban, Dejan Savicevic, Demetrio Albertini, Christian Panucci, Stefano Eranio, Sebastiano Rossi. E il Milan continua a vincere. Dopo il Milan degli «Immortali», il Milan degli «Imbattibili».
Il libro di Giuseppe Pastore, che si apre con l’atterraggio degli elicotteri berlusconiani all’Arena di Milano il 18 luglio 1986, si chiude con il trionfo di Atene, l’8 maggio 1994, con lo strepitoso 4-0 al Barcellona di John Cruijff.
Una degna conclusione per un periodo davvero favoloso. Un periodo di grandi successi: per il Milan, ma anche per altre squadre italiane, dal Napoli al Parma, dalla Juventus alla Sampdoria. Un periodo tanto più affascinante se si considera la miseria attuale, con le nostre squadre incapaci di recitare un ruolo quanto meno onorevole nel panorama europeo e un campionato che, da anni ormai, non è più «il più bello del mondo», come si diceva giustamente in quegli anni.