Recensione di A.C., professione di Letteratura Italiana e Latina, Giornalista e appassionato di sport
Allenare. Allenarsi. Guardare altrove. Ma anche guardare avanti. Fissare un obiettivo e poi raggiungerlo. Per realizzare, ognuno, il proprio capolavoro.
Può essere questo, in sintesi, il contenuto dell’ultimo libro di MAURO BERRUTO, Add Editore, che si intitola, appunto, CAPOLAVORI, ed ha come sottotitolo proprio i tre termini citati in apertura: allenare, allenarsi, guardare altrove.
Nella prima parte del libro –SOMIGLIANZE – Berruto ripercorre la sua carriera di allenatore di volley. Una carriera straordinaria in tutti i sensi: per i risultati ottenuti, ma prima ancora per il punto di partenza, un oratorio, e per il percorso formativo individuale, dal momento che Berruto è laureato in filosofia, con una tesi in antropologia costruita con ricerche sul campo in Madagascar. Un percorso atipico, insomma, di uno che non è mai stato un grande atleta. «Ho voluto incominciare ad allenare perché ero scarso e non avevo talento sufficiente per diventare un giocatore di qualità», scrive Berruto nelle prime pagine del libro.
Ma allenatore di qualità lo è diventato di sicuro. Nella pallavolo, soprattutto, ma anche nel tiro con l’arco, incarico che ha assunto dopo essersi dimesso dalla nazionale italiana di volley, alla vigilia delle Olimpiadi di Rio 2016, («dopo un episodio di grave mancanza di rispetto delle regole e delle persone») e un biennio da amministratore delegato nella Scuola Holden di Alessandro Baricco a Torino.
Berruto paragona la sua carriera di allenatore ad un lungo viaggio in luoghi e situazioni assai differenti: «Ho allenato bambini delle scuole elementari, ragazzini del settore giovanile, dilettanti, atleti professionisti, campioni olimpici. Ho allenato in posti del mondo che poco hanno in comune come Grecia e Finlandia, avendo il dovere di confrontarmi con modelli sportivi e culturali profondamente diversi». Ecco cosa significa «guardare altrove».
Ho detto che Berruto ripercorre la sua carriera di allenatore, ed è certamente interessante seguire il suo percorso, le scelte fatte, le difficoltà incontrate, gli ostacoli superati, gli obiettivi raggiunti. Certo, il riferimento ai risultati ottenuti non può mancare, primo fra tutti il bronzo olimpico a Londra 2012. Ma non è, la sua, una ricostruzione autocelebrativa. L’impressione che si ha leggendo il libro è che Berruto insista soprattutto su cosa significhi allenare, in particolare in uno sport di squadra. Un libro pedagogico, vorrei dire, nel significato migliore di questo termine.
Il compito di chi è chiamato ad «allenare» altre persone, nello sport, ma anche nella scuola, in un ufficio, in un consiglio di amministrazione e persino in famiglia, è essenzialmente questo: «aiutare le persone a realizzare il proprio potenziale e a trasformarlo in prestazione, tendendo verso l’eccellenza. Tendendo verso il proprio capolavoro».
Concetto ribadito anche con altre parole di identico significato: «Allenare significa aiutare esseri umani a realizzare i propri obiettivi, risvegliare le possibilità che sono in loro, vederli migliorare e, forse, un giorno vincere». «Chi allena – dice ancora Berruto – non fa altro che tentare di perfezionare un software da mettere a disposizione dei propri atleti».
Vale nello sport, ma vale in tanti campi della vita, anche della nostra vita individuale: «I grandi coach, maestri, leader politici, amministratori delegati sono coloro che, cambiandoci la vita, ci hanno permesso di elevare le nostre conoscenze, il nostro atteggiamento, la nostra volontà, i nostri sogni».
Un discorso particolare va fatto per chi allena una nazionale: «In una nazionale occorre muovere energia e, soprattutto, lavorare per preparare ciò che verrà dopo di te». Un visione dell’allenatore sulla quale tanti coach o mister, spesso ben retribuiti, dovrebbero meditare a lungo e farsi un sincero esame di coscienza.
Quanto alla pallavolo in particolare, Berruto utilizza alcune espressioni di grande chiarezza nella loro apparente semplicità: «La pallavolo non è fatta per egoisti». Nella pallavolo non vi è posto per qualsiasi forma di «egoismo personale», che va sempre sostituito con «l’egoismo di gruppo». Un ossimoro, tecnicamente: «Sostantivi che dovrebbero respingersi e che invece, quando riescono ad avvitarsi l’uno all’altro, si trasformano i qualcosa di nuovo, sublimandosi».
Nella seconda parte del libro, denominata anch’essa CAPOLAVORI, Mauro Berruto cerca di spiegare cosa sia un capolavoro: essenzialmente la ricerca della bellezza, del gesto perfetto.
Di capolavori, ne elenca tanti. Nell’arte e nella letteratura: Omero, Lisippo, Michelangelo, Turner. Nello sport: Maradona, Muhammad Ali, Zatopek, Mennea, Jury Chechi, ma anche Gabriela Andersen-Schiess. Ma i capolavori non sono una prerogativa solo dei grandi campioni. Ognuno può raggiungerli nella propria vita, perché «la piena trasformazione del proprio potenziale in prestazione è sempre un capolavoro».
Al di là del contenuto che ho cercato di sintetizzare, il libro di Berruto si segnala per l’ottima forma espositiva, chiara, piacevole, e per la grande cultura, non solo sportiva, con cui Mauro Berruto riesce ad arricchire le sue pagine. Un tesoro culturale confermato anche dalle quattro pagine dell’appendice, in cui Berruto elenca «i titoli che, per qualche ragione, hanno avuto a che fare» con lui. Un libro interessante, utile, ricco di spunti di riflessione: per gli allenatori e gli atleti, e per chiunque sia chiamato a dirigere un gruppo.