Recensione di A.C., professore di lingua e letteratura italiana e latina, giornalista e appassionato di sport
Di gol di testa, Aldo Serena ne ha segnati davvero tanti. Con la Nazionale, con l’Inter e con il Milan, con la Juve e con il Torino. E prima ancora con il Como, il Bari e il Montebelluna, la società del suo paese da dove è partita la sua carriera. In questa specialità è stato uno dei migliori in assoluto. Non stupisce, dunque, che il libro in cui ricostruisce, assieme a Franco Vanni, la sua storia sportiva, si intitoli appunto «I MIEI COLPI DI TESTA» (Baldini+Castoldi editore). Un libro interessante, scorrevole, di piacevole lettura.
Serena ripercorre la sua carriera sportiva in forma cronologica, anno per anno, con un’unica eccezione, il capitolo iniziale, nel quale rivive quella che è stata la più cocente delusione della sua carriera, «la serata più stressante» della sua vita: il rigore sbagliato nella semifinale mondiale di Italia ‘90 contro l’Argentina. Non sarebbe toccato a lui calciare quel quinto decisivo rigore, ma dopo che due dei designati avevano rifiutato l’incarico, non aveva potuto tirarsi indietro anche lui. Ed è arrivato l’errore. Dopo il quale, scrive Serena, «Il sole ai miei occhi è stato coperto da una personale eclissi». E aggiunge: «Da lì in poi, la mia mente ha cancellato tutto. Non ho memoria del ritorno negli spogliatoi. Non ho idea di cosa abbiamo fatto, e in particolare di quello che ho fatto io». Una confessione sincera di un momento davvero difficile.
Chiusa questa pagina triste, il racconto di Serena si svolge, come detto, anno per anno: gli esordi nel Montebelluna in serie D, il passaggio all’Inter, di cui tra l’altro era tifoso, con la quale, a soli 18 anni, ha esordito in serie A contro la Lazio segnando subito un gol decisivo, poi una lunga serie di passaggi da una società all’altra. Il «centravanti con la valigia», si disse. Un centravanti che, ovunque giocava, segnava fior di gol, ma ciò non bastava per farlo tornare definitivamente alla casa madre, ossia all’Inter, proprietaria del suo cartellino (in quel tempo esisteva il vincolo, per cui i giocatori erano “proprietà” della società per cui avevano firmato, che poteva venderli o darli in prestito).
Como, Bari e Milan in serie B, i primi trasferimenti, tutti annuali. Quindi il ritorno all’Inter, ma solo per un anno. Poi il passaggio in riva al Po: un anno nel Torino, due nella Juve. Quindi ancora Milano, nell’Inter per quattro stagioni e due, le ultime, nel Milan.
È certamente un girovagare, quello di Aldo Serena, ma è il girovagare di un campione che gioca sempre in grandi società, impegnate ad inseguire trofei prestigiosi, alla cui conquista Serena ha dato un contributo importante, spesso determinante. Ha vinto lo scudetto con tre squadre (Juve, Inter e Milan) e ne ha sfiorato uno con il Torino. Ha conquistato la Coppa Intercontinentale, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana, una Coppa Uefa. È stato capocannoniere con l’Inter. Ha giocato e segnato nel derby di Torino e di Milano con quattro maglie diverse: una specie di record anche questo. Ha partecipato a due mondiali: Messico ‘86, pur senza mai scendere in campo, e Italia ’90. Ha disputato le Olimpiadi di Los Angeles 1984, un’esperienza indimenticabile, unica: «se potessi rivivere una sola delle avventure della mia carriera calcistica, – scrive Serena – senza dubbio tornerei a quell’estate del 1984». Una grande carriera, insomma. La carriera di un campione.
L’impostazione cronologica del libro consente ad Aldo Serena di collocare con esattezza persone e avvenimenti. Ma consente anche a noi lettori di rivivere con ordine quegli anni in cui il campionato italiano era davvero il più bello del mondo, grazie alla presenza di moltissimi campioni a livello mondiale e di alcuni autentici fuoriclasse.
Serena non descrive partita per partita; si sofferma solo su alcuni momenti chiave della sua carriera e dei campionati delle sue squadre. Spiega le difficoltà di adattamento che ha incontrato, soprattutto passando da una squadra all’altra della stessa città.
Scorrendo il libro, il lettore trova un quadro di quello che era allora il calcio italiano. Si può rendere conto della diversa organizzazione delle società in cui Serena ha giocato: la passionalità del popolo granata, la tradizione sabauda della Juve di Gianni Agnelli e Giampiero Boniperti, la forza dell’Inter di Giovanni Trapattoni ed Ernesto Pellegrini, l’organizzazione molto approssimativa del Milan di Giusy Farina e quella aziendale ed efficientissima del Milan di Silvio Berlusconi. Diverse anche le caratteristiche delle tifoserie nei confronti dei giocatori: calorosissima quella di Bari, poco o per nulla invadenti quelle di Milano e Torino, dove però il clima si riscaldava in vista degli scontri stracittadini, che a Torino arrivava a livelli molto più accesi che a Milano: «Non avevo mai visto tanto entusiasmo e tanta acredine di una tifoseria contro l’altra. L’avversione dei tifosi granata per la Juve sfiora l’odio» scrive Serena ricordando il primo derby della Mole, che egli giocò in maglia granata.
Nutrita naturalmente la nutrita galleria dei personaggi: presidenti, direttori sportivi, allenatori (da Marchioro a Trapattoni, da Castagner a Bersellini, da Radice a Capello, passando per Bearzot e Vicini). Non mancano i giornalisti: curiosa l’immagine di Aldo Serena, costretto in tribuna per infortunio, che aiuta Gianni Brera ad uscire dalla sua angusta postazione. Righe molto belle Serena dedica ad alcuni dei compagni e avversari. Particolarmente toccante il ritratto umano e sportivo dei due grandi capitani con cui ha giocato, Franco Baresi nel Milan e Gaetano Scirea nella Juve. Ma è una sorpresa leggere i consigli medici che gli ha elargito Socrates della Fiorentina e quelli comportamentali di Zico dell’Udinese.
Ma non c’è solo calcio nel libro di Aldo Serena. Ci sono tanti altri aspetti della sua vita; i legami sentimentali, espressi sempre con molta eleganza, l’interesse per i viaggi, la musica, i concerti, i musei, il basket, la natura e la fotografia. Non mancano i riferimenti al suo luogo d’origine, ai compagni della prima gioventù e soprattutto ai suoi genitori: la bontà della madre, l’affetto sincero, anche se mai esternato con gesti o complimenti espliciti, del padre, a cui riconosce il merito di avergli trasmesso il senso del dovere, del lavoro, del sacrifico. Un aspetto non secondario, questo, nella vita di Aldo Serena. A me sembra, anzi, che sia proprio questo il filo conduttore del libro e della sua vita: la voglia e la capacità di lottare sempre, di impegnarsi al massimo, di superare tutte le avversità per dimostrare di meritare il posto in cui aveva avuto la fortuna di trovarsi. Serena scrive che non ha mai vissuto il pallone «come un lavoro, ma sempre come un divertimento e un privilegio», ma bisogna dire che questo divertimento l’ha affrontato con grande serietà e questo privilegio ha saputo sempre meritarselo.
Il libro si conclude con un capitolo dedicato alla sua attività di commentatore tecnico per la televisione. Segue un’appendice in cui parla della sua famiglia, la moglie Cristina e i due figli, Giorgio e Giulio. Poi rende un omaggio particolare a Michel Platini «campione senza tempo e persona eccezionale»; ricorda gli arbitri che più l’hanno impressionato e accenna anche al problema del doping nel calcio.
Ma c’è un’altra caratteristica che fa apprezzare il libro. Serena ha deciso che tutto il suo totale compenso sia destinato all’Istituto Tumori di Milano. Una scelta che in un’intervista ha spiegato così: «Milano mi ha dato tanto, ci ho vissuto quasi trent’anni: ha pensato di ricambiare, in qualche modo». Una scelta che gli fa onore.