Articolo di Mattia Lasio, giornalista Cagliaritano che scrive per Unione Sarda
Può essere beffarda la vita. Sa essere enigmatica, imprevedibile, ingiusta. Proprio come la morte di Davide Rebellin, storico corridore nostrano che ha perso la vita oggi, all’età di 51 anni, investito da un camion mentre pedalava lungo la SR 11 nei pressi di Montebello Vicentino. Un allenamento come tanti. Una sgambata come faceva da oltre trent’anni ma che stavolta ha presentato un epilogo drammatico. Un epilogo che lascia un segno profondo non solo nel mondo del ciclismo italiano ma in tutto l’ambiente dello sport.
Davide Rebellin era uomo di fatica, un talento del pedale. Tenace, di quella tenacia che gli ha consentito di diventare il più longevo ciclista in corsa: la sua carriera è terminata dopo aver superato il mezzo secolo di vita, poco più di un mese fa sulle strade di casa alla Veneto Classic. Le strade dove tutto è iniziato quando era poco più che un adolescente, le strade che gli hanno fatto capire il suo valore e che, al contempo, gli hanno insegnato l’importanza del sacrificio. Un sacrificio a cui Rebellin non si è mai sottratto, un sacrificio che ha rappresentato il caposaldo della sua persona sopra e al di fuori della bici.
Le sue vittorie sono state numerose, significative, celebri. Su tutte, spiccano le tre inanellate in quella settimana di aprile del 2004 dove si consacrò padrone delle Ardenne: prima l’Amstel Gold Race, poi la Freccia Vallone, infine la Liegi Bastogne Liegi. Nulla poté fermarlo, nessuno riuscì a tenere la sua ruota. Portacolori della Gerolsteiner, all’epoca, Rebellin era poco più che trentenne: un’età in cui tanti perdono gli stimoli, un momento che può essere ricco di incognite ma non per Rebellin che realizzò una tripletta che non ha eguali.
Delle tre vittorie di quell’anno, quella della Liegi colpì per sagacia tattica e brillantezza: il parterre era eccellente, figuravano corridori come Ivan Basso e Paolo Bettini. Tra gli uomini da battere un Miki Boogerd pronto a domare la Redoute e il Saint-Nicolas e mettere le mani su una delle classiche monumento più ambite di sempre. Ma proprio sull’ultima salita fu un Rebellin dal completo azzurro chiaro a non lasciare spazio a repliche: Boogerd attacca, vuole la vittoria. La fiuta, sa di poterla fare propria. Ma non è il solo: il coriaceo Aleksandr Vinokourov dal completo color magenta della T-Mobile scatta a ripetizione. Non ci sta, non vuole perdere, sa di non essere veloce come i rivali ed è consapevole di dover rischiare. All’ultimo chilometro lo riprendono, ci si studia a vicenda, ma è facile comprendere che i più forti sono proprio Boogerd e Rebellin. Il Saint-Nicolas è gremito, due ali di folla circondano i corridori. Rebellin mostra un leggerissimo segno di sofferenza sul volto ma sembra quasi imperscrutabile. Boogerd sbuffa, sta davanti a tirare, si volta di continuo per timore di essere sorpreso, sa di non potersi lasciare scappare l’occasione. Gli ultimi 150 metri riservano uno sprint serrato e atteso, dove Rebellin tira fuori dal cilindro una volata imperiosa, Boogerd prova a rispondere ma le forze mancano. Un bacio rivolto al cielo, gli occhi socchiusi, il boato dei tifosi: Rebellin trionfa nella più antica delle classiche.
Nella Commedia Dantesca lo si dice con fermezza; è l’amor che move il sole e le altre stelle. E se si parla di amore in Rebellin verso le due ruote ne era presente in gran quantità. Sia nei momenti felici che in quelli complessi come la squalifica nel 2009 per la positività al CERA e la revoca dell’argento, amaro, alle Olimpiadi di Pechino dell’anno prima. Ma dal suo rientro, nel 2011 tra le file della Miche-Guerciotti, la perseveranza di Rebellin si è fatta sempre più forte, portandolo a macinare chilometri su chilometri senza batter ciglio. Nonostante gli anni trascorsi, nonostante il tempo che sempre più velocemente scorre, nonostante non fosse più un corridore di punta. In lui c’era quella genuinità nel correre, quella filosofia sportiva all’insegna del divertimento e dell’umiltà che solo chi ama realmente lo sport può dire di possedere.
È andato via oggi, inaspettatamente, come un fulmine a ciel sereno. È andato via mentre faceva quello che più amava, ovvero pedalare. Ciò che resta è un vuoto incolmabile, l’amarezza profonda per una morte violenta e brutale ma anche la consapevolezza di aver assistito alle imprese di uno degli ultimi, grandi, corridori rimasti. Un uomo, prima ancora che un atleta, di spessore. Dallo sguardo timido velato di malinconia, dagli occhi limpidi, dai modi gentili con i colleghi così come con i suoi estimatori. Un uomo che ha saputo conoscersi grazie alla fatica e che della bici ha fatto la sua arma più potente, la sua compagna più fedele. Una compagnia che non lo ha abbandonato nemmeno nell’ultimo istante, come a sancire un legame che niente e nessuno potrà mai fare venire meno.
Foto di copertina: Eurosport