Recensione di A.C. professore di lingua e letteratura italiana e latina, giornalista e appassionato di sport
L’Union Berlin sarà quest’anno la vera novità della Champions League. La prima, storica, partecipazione per una società che solo nel 2019 è approdata nella massima categoria del calcio tedesco, la Bundesliga. Una partecipazione tanto più significativa perché l’Union Berlin, anzi Eisern Union (Unione di Ferro), è una società con una filosofia calcistica nettamente in contrasto rispetto alla direzione che ha preso il calcio del XXI secolo, quello basato sulle quotazioni esagerate dei giocatori, sui milioni talvolta di dubbia provenienza, oppure di provenienza molto chiara ma eticamente poco accettabile. Una società ed una squadra che meritano di essere conosciute, tanto più ora che per la prima volta entrano nella massima competizione europea per Club. Tra l’altro in un girone di ferro, con Napoli e Real Madrid.
Nelle competizioni europee l’Union ha già fatto capolino nelle precedenti annate, sia in Europa League che in Conference League. La prima partecipazione, in realtà, avrebbe dovuto averla molti anni prima, nel 1968, in quella che si chiamava Coppa delle Coppe, avendo vinto in quell’anno la Coppa nazionale della DDR, la Germania Est; ma l’invasione sovietica di Praga portò di fatto all’esclusione dei club di tutti i Paesi legati all’URSS. Ora finalmente l’Union entra tra i grandi d’Europa: con il suo stile, la sua filosofia, i suoi sostenitori del tutto speciali.
Dicevo che è una storia particolare, quella dell’Union Berlin. Il giornalista Giovanni Sgobba, durante un soggiorno a Berlino nel 2012, ha assistito ad una partita dell’Union ed è rimasto letteralmente folgorato dall’ambiente, dall’aria che si respira nello stadio della squadra, situato nel quartiere berlinese di Köpenick, nei pressi della vecchia foresta (An der Alten Försteirei: il nome ufficiale), dall’inno sociale composto dalla cantante punk Nina Hagen, dal modo con cui vengono presentati i giocatori: lo speaker annuncia nome e cognome e tutto il pubblico risponde a gran voce «Fußballgott», «dio del calcio», perché tutti i giocatori dell’Union sono, per i propri tifosi, degli «dei del calcio». Di fronte a queste particolarità, Giovanni Sgobba ha deciso di approfondire la storia della società e di raccontarla. Così è nato il suo libro, pubblicato lo scorso maggio da Ultra Sport: «E NON DIMENTICARE: EISERN UNION!».
L’Union Berlin può far risalire la sua origine addirittura al 1906, ma la fondazione ufficiale è datata 20 gennaio 1966. Erano i tempi della DDR, che a Berlino aveva una società di calcio, la Dynamo, dichiaratamente sostenuta, come altre nel Paese, dalla Stasi, la terribile polizia segreta. L’Union si presentava come l’altra faccia del calcio berlinese, lontana dal potere politico, che non lesinava i torti e le ingiustizie con cui tali regimi colpiscono chi non si identifica in loro. Una avversità ampiamente ricambiata dai sostenitori della squadra biancorossa, tanto che allo stadio di Köpenick non era raro sentire cori come «Stasi raus!» (Stasi fuori!) o anche «Die Mauer muss weg!» (il Muro deve cadere!). Insomma, se «non tutti i tifosi dell’Union erano dissidenti, tutti i dissidenti erano tifosi dell’Union».
Se durante il periodo della DDR, le principali difficoltà per l’Union avevano un segno politico, dopo la caduta del Muro e la riunificazione delle due Germanie, le difficoltà furono soprattutto economiche. Più volte l’Union fu sul punto di fallire. La salvarono interventi eccezionali di qualche sponsor, l’appello accorato del sindaco di Berlino, ma anche il solito intervento dei suoi tifosi che per la società «donarono il sangue», letteralmente, nel senso che parteciparono ad una massiccia campagna di donazioni di sangue a favore degli ospedali cittadini, il cui ricavato andò nelle casse esauste dell’Union. E quando è stato necessario ampliare lo stadio, nel 2008, «2.333 tifosi si alternarono ai lavori per un totale di 140 mila ore non pagate, di puro volontariato».
Non è qui il caso di rifare tutta la storia dell’Union, anno per anno. La spiega splendidamente Giovanni Sgobba, che dedica anche un’attenzione particolare ai giocatori più significativi del club di Köpenick. Quello che voglio evidenziare, invece, sono alcune delle caratteristiche dei soci-tifosi dell’Union. Anzitutto il loro numero, arrivato nel 2023 a ben 50.000, un numero così alto che per garantire almeno una presenza annuale nello stadio, che per ora può contenere solo 22.012 spettatori, la società deve estrarre a sorte i biglietti in una specie di lotteria del tifoso. Un legame d’altri tempi, quello tra l’Union e i suoi tifosi, che sono parte attiva nella vita della società. Anzi, come dicono e ripetono, «non è la squadra ad avere i tifosi; sono i tifosi che hanno la squadra». La società riconosce questo legame profondo. Quando, il 18 agosto 2019, l’Union ha disputato la prima partita in Bundesliga, sugli spalti c’erano 455 “spettatori” in più rispetto ai 22.012 consentiti: le gigantografie 70×70 dei tifosi che, ormai passati ad altra vita, non avevano potuto essere presenti allo storico avvenimento.
Essere socio dell’Union comporta anche l’accettazione di alcune regole, di un determinato modo di concepire lo sport. «I nostri membri – recita il regolamento che viene presentato a chi chiede di essere socio – provengono da diverse estrazioni sociali e hanno opinioni politiche e religiose diverse. Ma sono d’accordo su una cosa: nella lotta per la propria cultura calcistica. Per i tifosi e i membri dell’Union Berlin si tratta di calcio, non di vendere il prodotto calcio».
Ecco «la visione alternativa» del calcio, come la definisce il presidente Dirk Zingler. Ecco la differenza con le altre società di calcio, prima fra tutte il Lipsia, la cui sponsorizzazione da parte della Red Bull è vista come un vero e proprio oltraggio all’essenza del calcio.
Sì, merita di essere letto, il libro di Giovanni Sgobba. Per conoscere la storia di questa società e di questa squadra, ma anche per riflettere sul senso dello sport in generale e del calcio in particolare: se tutto, nello sport, possa essere venduto e comperato o se ci siano dei limiti oltre i quali non è giusto e, a lungo termine, nemmeno utile andare. Una riflessione che dovrebbero fare anzitutto le massime autorità sportive. Difficile che avvenga.
Buona Champions, Union Berlin!