Di Davide Lugli
Nella Bologna dei primi anni ’80, nel pieno del boom economico, c’era una salumeria in via Galeotti nel quartiere San Donato. Dietro al bancone un omone alto con il sorriso sempre stampato sulle labbra e con al suo fianco la sempre amata moglie Paola. Un chiacchierone di quelli che si incontrano poche volte nella vita. Passione allo stato puro per lo sport, ma soprattutto un cuore davvero grande proporzionato, forse, solo alla sua altezza.
Tutte le mattine faceva trovare rosette di pane ai bambini che andavano a scuola che riempiva con salumi di ogni genere a seconda della richiesta. Il pane non lo faceva nemmeno pagare e conti alla mano sicuramente non ci guadagnava nemmeno nulla da quelle vendite, ma il sorriso che gli regalavano i bambini felici col panino avvolto nella carta mentre uscivano dal suo negozio per andare a scuola, valeva per lui molto più del denaro. Il suo sogno era sempre stato quello di avere una grande salumeria, fin da ragazzino quando faceva bottega da papà Bruno. Forse quel sogno avrebbe anche potuto coronarlo prima, ma il destino per lui aveva in serbo un paio di guantoni e le corde di un ring di pugilato. Ad essere onesti, l’essere alto 193 centimetri per oltre un quintale di peso con l’aggiunta di mani dure come la pietra, era effettivamente un biglietto da visita molto indicativo della strada che avrebbe guidato il suo destino.
Tutti lo conoscevano come il gigante buono, sul ring lo chiamavano Dante Canè. Pugile si, ma prima di tutto uomo amato e rispettato nel suo quartiere e nella sua Bologna. Uno che durante la carriera riuscì a sentire il proprio nome pronunciato anche dagli altoparlanti del Madison Square Garden. Mica scherzava lui che, ancora adolescente, era riuscito ad alternare il duro lavoro con il padre con gli altrettanto duri allenamenti alla Sempre Avanti seguito dal coach Leone Blasi, già allenatore di Checco Cavicchi quello che per intenderci aveva esaltato 60000 mila persone allo stadio di Bologna conquistando il titolo europeo. Pensare che Dante entrò nella palestra con il solo scopo di conoscere il campione e di vederlo dal vivo, era il suo idolo. Blasi, invece, capì di avere davanti un acciaio grezzo da lavorare, lo prese sotto la sua ala e lo fece diventare pugile. Gli bastò poco per capire che quel ragazzo aveva coraggio da vendere e uno spirito di abnegazione come pochi. Un futuro peso massimo, non sarebbe potuto essere diversamente visto che Dante era letteralmente una montagna umana e dimostrò subito passione per quello sport che diventò parte della sua vita. Si iniziava la mattina presto che piovesse o meno, fosse estate o inverno. E allora l’inverno era inverno. Poi nessun riposo, bisognava andare in bottega e lavorare con papà Bruno.
Una carriera nata sul finire degli anni ’50 e proseguita fino a sfiorare gli anni ‘80. Tante volte campione italiano, suo il record come peso massimo per il maggior numero di successi, e una faida sportiva con il grande Bepi Ros che contrassegnò un’epoca per la noble art nel nostro paese. Faida la chiamiamo, ma in realtà 5 sfide avvincenti dal ’70 al ‘76 tra 2 grandi campioni che si sono sempre rispettati dentro e fuori dal ring. Pensare che Bepi Ros, dopo l’incidente stradale che costrinse Dante a letto per 100 giorni, gli scrisse una lettera augurandogli di poterlo rivedere presto sul ring. L’Italia era il suo regno, certo, però il bel paese stava stretto al buon Dante che tentò anche l’avventura oltreoceano.
Capita allora che nel ’67 si trova addirittura a salire la scaletta del ring del Madison Square Garden, dove proprio qualche mese prima Nino Benvenuti fece la storia diventando campione del mondo dei pesi medi sconfiggendo Emile Griffith. Mica male per uno che voleva fare il salumiere. Avversario il malcapitato Jerry Tomasetti che manco a dirlo fu demolito in un amen dal bolognese, sia nella prima che nella seconda occasione qualche tempo dopo. Dante ci aveva preso gusto, il pubblico americano lo gradiva anche. La bella favola non era però destinata a durare, la battuta di arresto era dietro l’angolo. Prima la sconfitta, più che onorevole, ai punti con James Woody che gli lascia l’amaro in bocca, poi in Canada, in un clima decisamente poco ospitale, subisce un tremendo KO dal più quotato George Chuvalo, uno per intenderci che era stato sconfitto solo ai punti dopo 15 riprese qualche mese prima da Muhammad Alì. L’avventura oltreoceano finisce lì e Dante torna in Italia.
Il suo regno era decisamente qua, non c’era molto da discutere, ma al bolognese il bel paese continuava a non bastare. Decise di tentare allora la strada verso il titolo europeo. Un traguardo, però, che non riuscirà mai a tagliare, battuto in entrambe le occasioni avute in carriera. Nel primo incontro valido per il titolo dall’involontaria testata di Joe Bugner, pugile britannico sconfitto dopo 12 riprese prima da Muhammad Alì e poi da Joe Frazier solamente ai punti, mica uno qualunque, e sul finire della carriera, a 38 anni e quando ormai aveva già dato tutto, dal talento emergente dello spagnolo di origini uruguaiane Alfredo Evangelista, pugile giovane e forte, un avversario insormontabile per il vecchio gigante bolognese.
Dante in quell’occasione sapeva di non avere possibilità, ma un ultimo tentativo gli spettava, gli era dovuto. Proprio quella sera e nella sua Bologna, dopo la sconfitta in appena 4 round davanti al pubblico accorso in massa per sostenere il suo campione, decise di dire basta. Prese il microfono e chiese scusa alla sua gente per l’opaca prestazione. L’applauso di ovazione che seguì fu quello che si tributa a un grande campione alla fine di una altrettanto grande carriera e a chi, sul ring, ha dato veramente tutto quello che poteva dare. Non aveva veramente nulla da farsi perdonare Dante.
Il dopo fu quello che tutti già conosciamo. La sua salumeria, l’amata moglie Paola, i suoi bambini Federico e Daniela e quelle tante chiacchiere che facevano parte del suo quotidiano, scambiate con chiunque e su qualsiasi sport, il suo Bologna e la Virtus. Il pugilato era però sempre al primo posto. Raccontare la propria vita, le tante sfide sostenute nel vecchio e nel nuovo continente era per lui motivo di orgoglio e per tanti il suo negozio diventò un luogo dove passare ore a farsi raccontare la storia della sua carriera. C’erano anche tanti nonni che magari dovevano andare a fare delle commissioni e chiedevano a lui e sua moglie il piacere di intrattenere i nipoti. Dante figurarsi non si tirava mai indietro, proprio come quando saliva sul ring. Era speciale. La morte prematura di Paola lasciò un vuoto incolmabile in lui, il campione che sopportava ogni colpo piano piano si spense. Fu un vero KO, l’ultimo, dal quale non riuscì più a rialzarsi.
La mattina del 5 maggio 2000 il cuore di Dante si fermò, proprio davanti al suo negozio e facendo ciò che aveva sempre desiderato fare nella sua vita. D’altronde l’aveva vissuta come voleva lui. Il suo ultimo round era arrivato e ci fu qualche suo bambino, ormai cresciuto, che guardando fuori dalla finestra in via Galeotti quel giorno pianse. Il gigante buono non c’era più, ma ciò che era stato per tanti, ciò che aveva fatto nella sua vita, fuori e dentro al ring, non sarebbe mai stato dimenticato. Chi ha conosciuto lo straordinario Dante Canè non lo potrà mai dimenticare.